1. RIFERIMENTI
‘..Un ultimo sguardo commosso all’arredamento,
e chi s’è visto s’è visto..’
MORGAN,
Altrove
Figura 1 - Io sono un autarchico - Foto di scena
Un ruolo importante nei film di Nanni Moretti (oltre ai suoi atteggiamenti infantili) lo giocano anche (e soprattutto) i personaggi di contorno, i ‘non protagonisti’. Attraverso gli altri appunto, la figura di Michele Apicella, suo alter-ego, viene esaltata. Questa è un’arma a doppio taglio in quanto il personaggio di Michele a tratti è un istrione che diverte il pubblico e a tratti ci mostra la sua solitudine (e infantilità). Oltre all’infantilità, un’altra caratteristica dei non protagonisti è la solitudine e l’alienazione (Olga in Ecce bombo o Saverio in La messa è finita). Nei primi film un aiuto a Moretti viene dato da attori professionisti (scelti non a caso dal teatro e non dal cinema). Di film in film poi Moretti migliora la sua abilità di recitare e quindi non si nota la grande differenza tra lui e gli altri attori (ricordo a tal proposito l’estrema bravura dei genitori di Michele in Ecce bombo, gli attori di teatro Glauco Mauri e Luisa Rossi). Già dal titolo del suo esordio Io sono un autarchico Moretti ci spiega il suo obiettivo: vivere da solo senza l’aiuto di altri. Infatti il protagonista del film cerca in tutti i modi di liberarsi del figlio, ma quando ci riesce lo rimpiange perché ormai “s’era affezionato”. Moretti è un autarchico anche nel suo modo di intendere il cinema: è autodidatta in tutto: regia, dialoghi e recitazione. L’unica parte presa ‘in prestito’ è la colonna sonora. Moretti infatti solo nel 1993 con Caro diario per la prima volta farà comporre una colonna sonora ‘ad hoc’ per il film.
Il film viene girato in tre mesi e durante la lavorazione sono presenti alcuni disagi: guasti alla cinepresa, pellicole che tornano dallo sviluppo verdi, festività pasquali che portano via gli amici-attori, montaggio in casa del regista durante le notti e registrazioni delle musiche in una sala del Vaticano di notte. Il costo del film fu di 3 milioni e 300mila lire. La durata totale della produzione è stata di quattordici mesi totali. Il film venne proiettato al Filmstudio (cineclub romano), dove qualche tempo prima erano stati proiettati i suoi Super 8 (e il mediometraggio) all’interno di una rassegna. Le bobine del film (senza il negativo in quanto sono girate in Super 8) vengono portare personalmente dal regista avanti e indietro per paura di essere perdute per sempre. Il film resta ancora un mese al Filmstudio e il programma Odeon della Rai gli dedica un servizio. Il film viene gonfiato in 16mm a spese dell’Arci e viene distribuito su tutto il territorio nazionale. Il regista intanto girà l’Italia per le interviste ed inizia a girare anche il successivo ‘Ecce bombo’. Così inizio il percorso di Moretti. La presunzione autosufficiente di Moretti si nota anche nel Match contro Monicelli andato in onda nel 1977. In quello scontro (che riguardandolo oggi ci fa venire una grande nostalgia per l’educazione dei duellanti e per le persone che fumano in studio) Moretti accusava Monicelli di far parte di una casta di registi che non vuol far emergere i nuovi talenti. Nella discussione Monicelli rispose a Moretti dicendo che gli altri registi erano mediocri e lui s’era creato un personaggio per ‘sfondare’ nel breve periodo, tant’è che il suo primo film verrà trasmesso in Rai qualche settimana dopo. Non bisogna dimenticarsi la fortuna che ha avuto il regista trentino grazie alla messa in onda del film in Rai (come gli ricorda Monicelli). Nel 1976 infatti in Italia c’erano solo Rai 1 e Rai 2 (ai tempi Programma Nazionale e Secondo programma, proprio nel 1976 rinominati Rete 1 o TV1) e quindi aveva pochissima concorrenza nel palinsesto televisivo. Nel 2013 un passaggio televisivo di un’opera prima di un regista sulla Rai è pressoché impensabile. In questo modo il film di Moretti aveva creato nel pubblico una grande attesa per la sua seconda opera (Ecce bombo), e il successo arrivò di conseguenza. Gli altri argomenti della discussione furono il fascismo del cinema italiano nel creare film con protagonisti solo uomini (tema ripreso all’inizio di Ecce bombo dove al maschilismo si aggiunge il razzismo verso gli storpi, gli omosessuali, i vecchi ecc), le grandi produzioni hollywoodiane e gli attori italiani sottovalutati rispetto ai colleghi stranieri. Riguardandolo oggi forse Monicelli aveva ragione, Io sono un autarchico infatti ci mostra l’obiettivo narcisistico di Moretti di non aver bisogno di nessuno e di essere superiore rispetto ad altri (battuta ironica che troviamo anche nell’ultimo Habemus papam [1], dove però c’è un Moretti totalmente cambiato dal Moretti autarchico). Un ulteriore narcisismo lo vedremo in Sogni d’oro dove Moretti esclama addirittura: “Io sono il cinema!” (sulla presunzione Moretti giocherà per tutto il resto della sua vita poi. In un’introduzione al film Sogni d’oro infatti affermò che la frase “Io sono il migliore” era un omaggio al pugile Muhammad Ali). Come ho detto prima i non protagonisti ci ‘illuminano’ sui fallimenti dei protagonisti. In particolare in Io sono un autarchico il piccolo Andrea giocando con un teatrino di burattini imita quello che i protagonisti tenteranno di fare per tutto il film: inscenare uno spettacolo pur di non lavorare e quindi ‘crescere’. In Ecce bombo invece Olga (interpretata da una giovane Lina Sastri) condivide lo stesso ‘male di vivere’ di Michele, anche se quest’ultimo tenta in tutti i modi di celarlo con il resto del mondo. La rimozione della scena del gomitolo in Sogni d’oro poi verrà analizzata nel capitolo seguente (con riferimento al complesso di Edipo). In Bianca il nostro protagonista osserva gli altri vivere attraverso il suo archivio di foto e quindi non vive. Quando cerca di vivere è spaventato allora rinuncia e compie la strage. Un ultimo esempio è La messa è finita, dove don Giulio impartisce sermoni a chiunque ma non ascolta i bisogni dei suoi cari (la madre infatti morirà suicida). Moretti è un bambino che con il suo capriccio raggiunge i suoi obiettivi. Verrà criticato da molti per la sua scelta della continua camera fissa negli esordi ma questo non lo ostacolerà nella sua ascesa. Prima di analizzare il suo esordio Io sono un autarchico, ora farò un breve excursus storico sul percorso di Moretti. Moretti nasce in un’epoca (fine anni ’70) dove nasceva anche l’impero del suo ‘amico’ Berlusconi, dove c’era più cinema negli spot pubblicitari che nella vera industria cinematografica italiana. Nel resto del mondo invece nascevano i primi blockbuster (severamente criticati da Monicelli nel Match di cui ho scritto precedentemente). Fine anni ’70, sono gli anni di Ratataplan [2] di Nichetti, un altro autore che ha segnato una rottura nel cinema di quegli anni. Se Frosati lo definiva “il piccolo Buster Keaton longobardo” [3] Moretti lo stronca nel suo ‘Film quiz’ (quiz a premi creato da Moretti nel 2008) [4]. Buster Keaton che viene omaggiato anche dallo stesso Moretti nel poster in camera sua in Ecce bombo. Moretti nasce il 19 Agosto 1953 a Brunico per caso (i genitori sono lì in villeggiatura) e i suoi maggiori interessi sono il cinema e la pallanuoto. Giocherà nella Lazio in Serie A e sarà convocato anche in Nazionale. Finito il liceo classico e abbandonato temporaneamente lo sport gli resta il cinema. Il Centro sperimentale gli è precluso (in quanto all’epoca era obbligatoria la laurea) e l’Accademia d’Arte Drammatica non lo intriga. Così chiede ai registi se può servire un aiuto-regista ma viene escluso anche in questa domanda. Così vende la sua collezione di francobolli e compra una Super 8 con la quale farà i suoi primi lavori. Prima de ‘La sconfitta’ è da ricordare il girato alla stazione Ostiense dove è presente l’arrivo alla stazione dei metalmeccanici a Roma per la manifestazione dell’8 Febbraio 1973. Cinematograficamente esordisce nel 1976, un anno prima del Movimento di Bologna del 1977 [5] e quasi a dieci anni di distanza dal ’68. Bologna nella quale Moretti per un breve periodo aveva vissuto (si era iscritto al DAMS). Nel 1968 Moretti aveva 15 anni e nel suo primo film si porta i desideri e le speranze naufragate della generazione dei post-sessantottini. Nel 1975 Moretti ha già fatto due cortometraggi (La sconfitta e Pâté de bourgeois del 1973) e un mediometraggio (Come parli frate? del 1974), parodia dei Promessi sposi. Nel frattempo è in attesa di risposta per un finanziamento pubblico di una sua sceneggiatura, ed infine ha ripreso a giocare a pallanuoto in serie inferiori (aveva abbandonato l’attività agonistica nel 1970). I primi due cortometraggi sono proiettati al Circolo Nuova Sinistra, sono proiettati anche a Montecatini all’interno di un festival per cineamatori ma non ricevono attenzioni particolari. Dopo Montecatini Moretti parte per Venezia dove proietta i cortometraggi alle ‘Giornate del cinema’. I film si ritagliano un piccolo spazio e c’è anche spazio per un tentativo di dibattito. Dopo ‘Come parli frate’ il regista chiese ai fratelli Taviani di essere il suo aiuto-regista in ‘Padre padrone’ ma essi rifiutarono. Ci fu spazio per Moretti in una piccola parte del film e non fece da aiuto in quanto i registi vedevano già in Nanni delle potenzialità da regista e gli dissero di continuare al progetto di ‘Io sono un autarchico’.
Io sono un autarchico
In Io sono un autarchico ci sono molti temi che in parte verranno sviluppati anche nei successivi film del regista trentino. I temi sono: il rapporto di coppia, la politica (“forse ho sbagliato ideologia” mentre Michele legge Il capitale di Marx [6]), la critica verso la figura dell’intellettuale (Beniamino Placido e Moravia), l’ironia verso gli americanismi (‘Ok’ vuol dire ‘va bene’), il conformismo verso la commedia italiana. E ancora: l’ironia verso il cinema civile (Moretti ‘spara contro la croce rossa’ Volontè), Bertolucci, l’educazione cattolica della moglie, ma soprattutto la decadenza cultural-emotiva della sua generazione. Moretti non ha paura di niente e di nessuno. fa nomi e cognomi, e fu uno dei primi in Italia a fare ironia sulla classe intellettuale intoccabile (come fece anche il compianto Rino Gaetano nella musica [12]). Già dal primo film vediamo l’ironia verso il ‘mostro sacro’ Wertmüller, in Ecce bombo verso un altro simbolo nostrano: Alberto Sordi. La satira verso il suo modello Bertolucci (qui ironizza su Maria Schneider e il panetto di burro, in Aprile sulla tranquillità che i monaci tibetani hanno insegnato a Bertolucci). Infine l’educazione cattolica, quando ‘cattolica’ diventa un insulto verso la moglie al telefono (nella scena precedente il figlio di Andrea dice le preghiere prima di dormire). Nei film di Moretti ci sono delle costanti che riguardando oggi il suo esordio Io sono un autarchico si possono facilmente rintracciare. Già dall’inizio vediamo una scena paragonabile a Bianca. Il regista teatrale Fabio suona il campanello di un suo amico attore. L’amico (che non vediamo) apre la porta e poi la chiude subito. Stessa scena è presente in Bianca quando la Morante fa un’improvvisata a casa di Michele e lui le chiude la porta in faccia. Nel primo film il motivo è la brutta figura che ha fatto fare Fabio al suo amico attore (quindi un motivo pratico: azione-reazione). In Bianca invece c’è un motivo psicologico: in una coppia ci sono degli spazi da rispettare (vedersi e non vedersi), e Bianca ha sorpassato questo spazio invalicabile. Oltre alla canzone ‘Long ago and far away’ di James Taylor, nel primo film di Moretti non troviamo le canzoni pop(olari) che saranno la spina dorsale dei suoi successivi lavori. Le altre canzoni presenti sono ‘Poor boy’ dei Supertramp [7] e ‘Swingin’ the blues’ di Count Basie [8]. Riguardandolo oggi e potendo paragonare Moretti ai suoi colleghi mi viene in mente Woody Allen. E non solo per l’approccio alla psicanalisi (che Moretti svilupperà più avanti) di cui si è stra-parlato ma per la scelta di inserire Count Basie (jazzista afro-americano) in questo film. Sembra Allen, ma è Moretti (orgoglio autarchico, per l’appunto). Io sono un autarchico all’inizio del 1978 valica i confini nazionali: è proiettato a Berlino al Forum e rimane per un mese in Francia, allo ‘Studio des Ursulines’. Per la sua interpretazione Moretti vincerà il Premio Gino Cervi e inizieranno ad arrivare proposte all’attore a partecipare ad altri film ma Moretti rifiuterà.
I film di Moretti ci parlano delle nevrosi del protagonista e Moretti stesso prende spunto dalle sue nevrosi. Una critica che in molti hanno mosso contro a Moretti (come contro ad Allen) è la ripetitività del suo personaggio e della sua storia: ‘Moretti fa lo stesso film’, ogni volta è un film nuovo ma ci sono sempre le stesse tematiche. In realtà è una maturazione del personaggio, oppure è una storia diversa (‘La messa è finita’) dove il protagonista ha qualche prerogativa del personaggio precedente ma è una storia diversa. Come in molti film di Allen, dove le caratteristiche erano: psicanalisi, amici, mostre, degustazioni di vino. È vero, in quasi tutti i film ci sono queste quattro caratteristiche ma ci sono in quanto Woody Allen persona è così, altrimenti sarebbe un altro film e un’altra persona. E così in Moretti: dolci, scarpe, nevrosi, amici, famiglia, ballo ecc. Il personaggio di Apicella appare per la prima volta in cucina. È con la moglie e si stanno separando. Michele infantilmente dice alla moglie Silvia che non può prendersi cura lui del figlio perché deve studiare. Infatti le dice “che faccio mi metto a lavare i piatti?” scaricando il peso di tutta la situazione alla moglie. La moglie gli risponde dicendo “io non riesco ad avere una vita mia” e Michele non contento le dice “questo c’era nei film americani di 40 anni fa”. Da questo scambio di battute notiamo come neanche la nascita di un figlio responsabilizzi il personaggio Apicella (e siamo solo all’inizio del suo lungo percorso). Durante un momento di sconforto poi Michele chiama la moglie ma non parla. La moglie allora ci mostra una faccia di sfida e Moretti inserisce come sottofondo qualche secondo di ‘Gone’ di Miles Davis [9] (ancora jazz) che ci ricorda lo slapstick caro al cinema muto e al primo Woody Allen. Nell’Autarchico rivediamo gag riprese nel successivo Bombo. Dai leitmotiv ‘vabbè, ma che senso ha?’ alle scene con il telefono, mezzo caro (e freddo come ci ricorda in Ecce bombo) a Moretti. Il film, come afferma lo stesso regista, non è la realtà, è una rappresentazione della sua realtà, del suo mondo e della presa in giro di quest’ultimo. Il suo primo cinema è dominato dalla camera fissa, e molte gag basate sulla mimica facciale o sul tono di voce (voce stridula dell’amico che imita lo scrittore Moravia). Una camera fissa che ci ricorda appunto lo spazio ristretto del teatro, dove è molto importante la bravura degli attori e i loro movimenti non essendoci movimenti di macchina. Nell’Autarchico lo spettatore è guidato dagli attori, meno dal regista. Nonostante non fossero attori protagonisti a Moretti andò bene, in quanto la recitazione non è troppo sopra le righe (come vediamo in molte soap-opere italiane odierne). Soap-opere dove appunto troviamo molti primi piani e recitazione facciale e meno corporale. Moretti si diverte nella sua presa in giro anche del cinema nostrano, una presa in giro che rivedo in Boris [10] restando sempre sul tema opera seriale televisiva. Dal primo incontro tra il regista e gli attori notiamo un totale disinteresse verso il progetto del teatro di Beckett. Gli attori non parlano tra di loro (forse anche a causa del mancato guadagno, come ricorda Moretti nella telefonata a Fabio). Michele pur di non ascoltare il regista va a trovare il figlio che sta giocando a carte nella stanza a fianco. Oltre all’incomunicabilità tra i protagonisti Moretti ci mostra l’incomunicabilità nella coppia. Se nello scambio iniziale di battute tra lui e la moglie il discorso aveva un nesso logico, nello scambio di battute tra la coppia che prenderà parte al progetto teatrale c’è una totale assenza di significato. Il regista per amalgamare bene il gruppo decide quindi di partire per un ‘training’ in montagna. Anche qui vedremo gli attori svogliati nell’eseguire gli esercizi fisici. Per stimolare un attore il regista dirà “Coraggio, senza pettorali non si fa l’avanguardia”. Il film si sviluppa su tre luoghi principali: la città, la montagna e il teatro. “..L’azione è filmata con ritmi da classico film d’avventure: paesaggio, attore, decimazione del gruppo, tentativi di ribellione, pause di divertimento..” [11] Nel film è presente anche un dottore che come da buon film western alla fine morirà. Durante il ‘training’ Moretti ci mostra l’eterno scontro tra cultura ‘alta’ e ‘bassa’. Michele stufo del training vede l’evasione nel mare e in un tifoso con la bandiera della Roma. Come Fantozzi che vuole vedere la partita dell’Italia pur di non vedere La corazzata Potëmkin [13]. Lo stesso Fantozzi che aveva mentito sul cinema espressionista tedesco pur di essere assunto dall’azienda. E un ulteriore paragone è il masochismo culturale di Gerardo di Caro diario che rifiuta il mezzo televisivo per i suoi studi sull’Ulisse. E quando si annoia nella gita all’isola Vulcano chiede ai turisti l’anteprima sulle puntate di Beautiful (l’americano costantemente più avanti dell’europeo ma nell’era di Internet odierna un po’ meno avanti). Nell’Autarchico invece Michele ‘diventa’ tifoso urlando: “Oggi c’è il derby Roma-Lazio” pur di allontanarsi dal training. Dopo il training in montagna il film si sviluppa sulle vuote giornate di Michele e sulle prove del gruppo in teatro. Il film ci mostrerà il tentativo fallito di Michele di riallacciare il rapporto con Silvia e il tentativo di Fabio di trovare un critico per la ‘prima’ a teatro. Lo spettacolo finalmente si realizzerà ma dopo qualche replica il pubblico diminuirà sempre di più. Il film si chiude con il tentativo di Fabio di iniziare un dibattito con il pubblico ma quest’ultimo sarà contrario a questa iniziativa (a tal proposito famosa la frase “No il dibattito no” da parte del pubblico in sala).
Ecce bombo
Figura 2 - Ecce bombo - Foto di scena
Ecce bombo è la storia di Michele e dei suoi quattro amici: Vito, Goffredo e Mirko. I quattro amici stufi di trascorrere le proprie serate inconcludenti al bar decidono di dedicarsi all’autocoscienza. Michele intanto ci mostra il suo rapporto con la famiglia, con la sua ragazza e con due ragazzi ai quali da un aiuto per la preparazione alla maturità. Mirko nel frattempo ospita a casa Olga, una ragazza con problemi psichici. L’estate intanto è alle porte e l’esperimento dell’autocoscienza va a scemare. Alla fine dell’esperimento i quattro amici decidono di andare a trovare per l’ultima volta Olga e estendono l’invito ad altre persone al bar. Alla fine solo Michele andrà a trovare Olga, con la quale condividerà lo stesso sentimento di estraneazione nonostante Michele ha vicino a se persone (famiglia, amici, fidanzata) con le quali confrontarsi. Il film uscì nel Marzo 1978, una settimana prima del sequestro Moro. Il film guardandolo ora è un interessante documento sociologico che ci mostra le prime forme di tv e radio libere (nello stesso periodo nel quale l’‘amico’ Berlusconi iniziava a trasmettere con Telemilano [14]). Moretti ha la fortuna (talento?) di mostrarci in ogni film il periodo nel quale esce il suo film con una cura che non hanno alcuni film odierni ambientati in epoche passate (quindi con studi ad hoc). Un altro elemento presente nel film sono le ‘case comuni’, case dove vivevano persone con le stesse ideologie politiche. L’intenzione di Moretti in Ecce bombo era di fare un film drammatico sulla sua generazione post-sessantottina. All’epoca invece il film venne accolto come ‘commedia’ dai suoi coetanei e anche le generazioni non romane si immedesimarono nei sentimenti morettiani. Il film fu presentato al 31° Festival di Cannes (che fu vinto da L’albero degli zoccoli [15] di Olmi) e il titolo del film deriva da una frase urlata da uno straccivendolo che girava attorno ad una scuola di Roma (straccivendolo che Moretti inserirà in una scena). Il titolo ‘richiama’ in modo blasfemo ‘Ecce Homo’ (Ecco l’uomo), frase pronunciata da Ponzio Pilato, allora governatore romano della Giudea, nei confronti dei Giudei nel momento in cui ha mostrato loro Gesù flagellato. Pilato enunciò la frase come prova della richiesta che avevano fatto i Giudei, “Eccovi l’uomo, vedete che l’ho punito?” Non contenti della flagellazione poi i sacerdoti fecero crocifiggere Gesù [16]. ‘Bombo’ invece letteralmente significa ‘tuono’, e la spiegazione della scena dello straccivendolo può essere ‘Ecco che arriva il tuono’, dove tuono sta per ‘ecco lo straccivendolo che arriva per voi’ (Donne è arrivato l’arrotino). Altri titoli possibili erano Sono stanco delle uova al tegamino, Piccolo gruppo, e Delirio d’agosto. Questi ultimi due titoli erano due sceneggiature distinte che Moretti decise di mettere insieme per formare Ecce bombo. Come disse più volte Moretti nelle interviste se il film fosse stato un insuccesso la colpa sarebbe stata sicuramente del titolo. Un’altra idea di Moretti era Militanza Militanza, progetto mai realizzato a causa degli avvenimenti del ‘Movimento del ‘77’ e quindi sorpassato. Nel film è presente un tentativo di autocoscienza maschile che poi fallirà. Questa è una scelta interessante di Moretti ed è una sorta di ‘risposta’ alle riunioni di autocoscienza femminili presenti in quegli anni. (Femminismo che in Italia nacque con la prima contestazione studentesca nel 1972) [17]. Il film costò 180 milioni e incassò 2 miliari. Nello stesso anno esce ‘La fine del mondo del nostro solito letto in una notte piena di Pioggia’ di Lina Wertmüller, prodotto negli USA. Il film incassò meno di Ecce bombo (circostanza che fa sorridere vista l’ironia di Moretti nei confronti della regista nel precedente Autarchico). Ecce bombo rimane sulla stessa lunghezza d’onda del precedente ‘Io sono un autarchico’. Anche qui Moretti ironizza sul cinema italiano e sui suoi razzismi. Moretti (tramite Luigi Moretti, suo vero padre) dice al direttore della fotografia che lui non ha bisogno di doppiatori come Giuliano Gemma, lui si ‘doppia da solo’. Qui Moretti ci mostra un’abitudine tipicamente italiana di doppiare attori italiani o di stravolgere i titoli stranieri. Un’altra occasione è quando Michele ironizza sui titoli fantasiosi dati ai film della Commedia sexy all’italiana [18] chiedendo al regista se il film si chiami Il capezzolo d’oriente. Come in Io sono un autarchico dove Moretti ironizzava su Lina Wertmüller o sul teatro underground in Ecce bombo Moretti ironizza sul cinema italiano che se la prende con i più deboli nelle commedie (le donne brutte, gli storpi). A riguardo mi viene in mente C’eravamo tanto amati [19] dove è presente un primo piano su un uomo strabico o il triangolo amoroso dei tre protagonisti (da qui “non faccio mai conoscere tra di loro persone a cui voglio bene” citando il pensiero Apicelliano). Rimanendo su Manfredi c’è un collegamento al product placement [20] che fa Michele con il pacchetto di sigarette mettendo in primo piano la marca. O il più famoso ‘Alberto Sordi’, critica ad un cinema qualunquista dove “bianchi e rossi sono tutti uguali”. Nello stesso anno di uscita di Ecce bombo (1978) lo stesso Alberto Sordi nell’episodio Le vacanze intelligenti del film corale Dove vai in vacanza? [21] ci mostra l’eterno scontro tra cultura ‘alta’ e ‘popolo’. Nell’episodio la vacanza culturale di Sordi e moglie è organizzata dai figli. Qui vediamo i figli radical-chic laureati (forse della stessa generazione di Moretti) che hanno studiato grazie ai padri e quindi essendo ‘superiori’ consigliano ai genitori le vacanze ‘intelligenti’ rispetto alle vacanze balneari ‘ignoranti’ (ma genuine) dei genitori. Moretti non è solo un regista, è un amante del cinema. E in quasi tutti i film parla o dirige un film nel film. L’esempio più evidente è nel successivo Sogni d’oro ma già dalla roulotte in Ecce bombo Moretti ci mostra un set cinematografico. In Io sono un autarchico un teatro, Il dottor Živago in Palombella rossa fino ad arrivare al film nel film de Il Caimano. Il film nel film è anche nella carrellata all’indietro quando il padre di Michele guarda Michele che a sua volta sta ascoltando i discorsi della sorella in camera con i suoi compagni riguardo all’occupazione della scuola (dove troviamo un giovanissimo Augusto Minzolini). Se nel precedente Autarchico Moretti ci aveva mostrato l’ambiente teatro-montagna in questo film approfondisce l’ambiente cittadino. Questa è una prerogativa del regista trentino che rivedremo in ‘Caro diario’ dove ci vengono mostrati luoghi insoliti della città, e non i soliti luoghi ‘da turista’. Il protagonista oltre a fare un viaggio interiore di autocoscienza, in una scena vaga per la città con gli amici in cerca di un cineclub (per poi entrare in una casa). Michele (come il vietnamita De Niro in Taxi driver [22]) vaga con i suoi amici in una città che in se ha tutto e quindi anche niente: Roma. Niente inteso come alienazione del protagonista, dove non riesce a trovare più uno scopo nelle uscite con gli amici, una Roma che non offre ‘niente’, per l’appunto. La visione di Roma di Moretti in questo film non è una visione che provoca stupore. Lo stupore che possiamo trovare da chi ha narrato Roma non essendo un nativo romano (Fellini, Flaiano). Moretti si rifarà con ‘Caro diario’ dove ci mostrerà luoghi non convenzionali di Roma, non ‘da cartolina’ ma apprezzabili allo stesso modo. Oltre all’insoddisfazione del protagonista è evidente nel film l’insoddisfazione dei suoi amici. A tal proposito cito il monologo di Vito “Dovevo nascere 100 anni fa, nel 1848, le barricate a Lypsia, a ventidue anni avevo già fatto la comune di Parigi. Adesso, impiegato parastatale, con tutti i colleghi che passano tutte le ferie a seguire tutti i festival dell’unità con i balletti della Moldavia e le ciocie importate dall’Ungheria. Gino Paoli, Pinocchio, Mike Bongiorno, Marylin Monroe, Altafini, Gianni Morandi, Gianni Rivera hanno avuto una funzione negli anni 60. Ma che stiamo facendo? Ma che sta succedendo? Ma quando vedremo il sole? Sto male. C’ho pure freddo.” In questo monologo notiamo un’insoddisfazione verso il lavoro, gli amici i quali invece di svagarsi durante le ferie partecipano a festival dell’unità e una perdita di modelli ai quali ispirarsi. Una società che non ride più, che dopo il ’68 non manifesta più e che anche il divertimento deve importarlo dall’estero (balletti della Moldavia). In Ecce bombo anche un’istituzione seria come la scuola diventa farsa (come in Bianca). Anche la scuola è una costante di Moretti grazie al padre e al fratello insegnanti. La scuola, dove i maestri oltreoceano ne hanno fatto un perno (da Gioventù bruciata ad American graffiti [23][24]) diventa un luogo anarchico. La stessa università che frequenta Michele e il suo amico Goffredo non ci viene mostrata, viene solo accennata senza interesse “Come ti vanno gli esami all’università? Ma..così”. In Bianca poi i modelli che Vito aveva perso ai quali ispirarsi vengono ritrovati (Mick Jagger, Zoff e ancora Gino Paoli), per la politica poi passerà ancora qualche anno. Come ho detto prima Roma non ci viene mostrata come in Caro diario, ma come un luogo fuori dal mondo, dove i ristoranti sono attigui a delle zattere “Ma qui da dove arrivano i camerieri?” (scena di Michele con la compagna Silvia). Un’altra caratteristica presente in Moretti (come Woody Allen in Io e annie [25]) è il contatto diretto verso il suo pubblico: in Io sono un autarchico quando riceve la telefonata del padre e a quest’ultimo gli chiede l’assegno mensile “Così se qualcuno si chiedesse: ma questo qui come vive, chi lo mantiene?”. Nel Bombo invece alla stazione recita sia la propria parte che quella della fidanzata Silvia, che gli risponde “non sai recitare”. Infine in Sogni d’oro, quando girovagando per casa afferma: “Ma no ma quale mezz’ora? Un film si guarda per intero, anche in televisione” (in questo caso giustificandosi sia con il pubblico che guarda il film che con Freud, protagonista della sua sceneggiatura al quale non sa cosa fargli dire). In Ecce bombo il protagonista Michele è un factotum. È regista quando mentre Goffredo parla dei suoi traumi infantili introduce il flashback con un suono della bocca; è produttore esecutivo quando durante l’autoanalisi straparla e alla fine giustifica il tutto dicendo “ho una percentuale sugli incassi”; è un revisore dei dialoghi quando corregge continuamente gli errori grammaticali dei protagonisti. È un moderatore televisivo quando placa la discussione dei suoi amici dicendo “guardiamo il filmato”; infine è un pater familias quando educa la sorella a non fare rumore con la sedia o a come comportarsi nei confronti dei genitori (quando lui invece non ha regole con loro). Nonostante la linearità nelle scene, nel film ci sono alcune contraddizioni: il rimprovero al product placement di Manfredi e poi l’enunciazione “ho una percentuale sugli incassi”, Michele che da del ‘triste squallido’ al suo amico Mirko (come in ‘Bianca’ dove prima chiama Siro Siri per stare in compagnia e subito dopo lo allontana perché gli ‘mette tristezza’) e poi quando è da solo afferma “mi faccio tristezza a me, figuriamoci agli altri”; infine allontana la fidanzata perché “non vuol far conoscere tra di loro le persone a cui vuole bene” e poi diventa l’amante della moglie di un suo amico. Da questi tre atteggiamenti possiamo notare l’immaturità di Michele Apicella che impartisce lezioni alle persone alle quali vuole bene ma da il cattivo esempio. Un tradimento che alla fine non si consuma in baci o atti sessuali ma solo in uscite. È la classica situazione della moglie annoiata che vorrebbe abbandonarsi per fare un dispetto al marito ma in questa situazione trova un amante in crisi d’identità, più interessato a giochi intellettuali che all’atto sessuale vero e proprio. In Michele c’è una continua ricerca della felicità attraverso la messa in scena di gag comiche per cercare di allontanare l’infelicità e la solitudine. Proprio come la prerogativa di un comico, dove il suo lavoro è far ridere gli altri, non importa lo stato nel quale si trova l’attore. Nonostante il tentativo di Moretti di mettere delle ‘barriere’ tra nord e sud sulle differenze linguistiche (a Milano dicono sta d’un bene, il Giorgio, il Pannella), ci fu una quasi totale immedesimazione anche da parte del pubblico settentrionale, che si ritrovava nei Bombi di Moretti. Una generazione dove iniziavano a scricchiolare i dogmi intoccabili quali la fede e la famiglia. Un paese dove il divorzio venne introdotto soltanto agli inizi degli anni ’70 (a tal proposito Moretti inserisce una scena dove c’è la critica al governo democristiano durante l’esame di maturità). Nel film infatti non troviamo quella generazione post-sessantottina del sesso libero, delle droghe o della musica rock (quello lo troveremo nel neorealistico Amore tossico del 1983 [26]). Il problema principale di Michele è la ricerca della propria identità, è presente sì la musica, ma quella ‘leggera’, e il sesso non è mai mostrato (e anche nei film successivi di Moretti non è mostrato. L’unica scena di ‘sesso’, o meglio del post, è quella in Bianca dove Michele cerca la posizione migliore prima di andare a mangiare la Nutella. Il tabù verrà interrotto però in La stanza del figlio, dove il regista ci mostra l’inizio di un rapporto con la compagna Morante). Anche le droghe o la volontà di evadere dal proprio paese non sono menzionate, i quattro amici infatti si domandano se mangiare un gelato, una pizza o andare al cinema. Come ultima soluzione Michele chiede: “andiamo a trovare Alfredo?” E Fabio gli risponde: “ma Alfredo è morto da 2 anni”. E qui notiamo l’indifferenza di Michele, che vive ma non si accorge dei cambiamenti del suo mondo. Proprio nella gag sopracitata del “Guardiamo il filmato” per placare la discussione tra gli amici c’è una volontà di non prendersi troppo sul serio da parte dei protagonisti, in quanto il filmato può essere la realtà. Una realtà forse peggiore rispetto a quella che vivono i Bombi, fatta di violenza (come quando Alex nella cura Ludovico vede la realtà, peggiore della sua in quanto c’è una violenza voluta, non causata da una noia del protagonista [27]) e di omologazione. Michele invece attraverso l’autocoscienza tenta di risolvere i problemi della sua compagnia. Non ci riuscirà, ma almeno il tentativo è stato fatto. Lo spettatore non ride del suo mondo assurdo, ride in quanto si libera del suo mondo fatto di problemi, vita di coppia e di uscite con gli amici. Anche nell’approccio alla vita di coppia Michele ha una sua visione particolare: nel film non c’è il romanticismo dell’‘addio ai binari’ del treno, Michele esce di scena e ricompare rubando la valigia alla compagna e lanciandola via. Anche riguardo al tradimento Michele è indifferente, o meglio gli interessa di più il pianto finale di Silvia, così va “a pari col suo pianto dell’altra volta”. Quando Silvia gli racconta del tradimento e piange, lui le risponde “Piangi perché sono un grande artista?” spiazzando lo spettatore. Michele obbedisce alle sue regole, non a quelle del mondo in cui vive. Non importa il tradimento, conta solo che Silvia soffra quanto ha sofferto lui l’altra volta. E alla fine, quando ha ottenuto il pianto, cerca di sdrammatizzare perché ormai l’obiettivo è raggiunto. Michele poi rimasto solo dalla famiglia partita per le vacanze cerca in ogni modo di non rimanere da solo. Richiama una sua vecchia compagna di classe, fa l’amore e poi trova una scusa per liquidarla. Cerca sull’agenda amici con i quali vedersi e poi rinuncia (a contrario di Bianca dove il protagonista monitora tutti). Così esce e si ritrova in mezzo ad un concerto dove c’è un cartello ‘Riprendiamoci la vita’ (perché in fondo Roma anche se non è Woodstock offre questo) e qui si ritrova con altre solitudini, che insieme formano una comunità. Qui c’è l’analisi del problema affrontato da Moretti per tutto il film: “faccio cose, vedo gente”. In questa occasione Michele, che per tutto il film evita di omologarsi agli altri, si ‘mischia’ alla gente, per non rimanere solo.
Sogni d’oro
Figura 3 - Sogni d’oro - Foto di scena
Se i primi due film di Moretti erano stati girati ‘amatorialmente’ (sia come attori che come macchina da presa), in questo film Moretti non gira più in Super 8 e inserisce attori di teatro e non più amici. È l’ultimo film dove Moretti non è aiutato nella sceneggiatura da altri (nel successivo Bianca infatti Moretti sarà aiutato da Sandro Petraglia). Sogni d’oro rappresenta un continuum con Ecce bombo in quanto sono entrambi film con Apicella protagonista ma giocano un ruolo molto importante gli attori comprimari attorno a lui. Da Bianca in poi vedremo una concentrazione maggiore sul protagonista e sui dialoghi. L’abilità di Moretti nel suo esordio cinematografica è stata quella di far recitare a fianco a sé attori non professionisti o di teatro. Non ha mai scelto attori già affermati nel cinema. Scelta non opportunista in quanto se la critica l’avesse stroncato (come qui fa in Sogni d’oro) le colpe sarebbe state tutte sue, non da spartire con la prova sbagliata dell’Alberto Sordi di turno (sempre per rimanere in tema). Per questi motivi Ecce bombo e Sogni d’oro hanno successo in quanto raccontano più aspetti della vita del protagonista e non solo un soggetto approfondito (Bianca per l’appunto). Il film racconta la storia del regista Apicella e del suo rapporto di amore-odio verso il film in produzione (la Mamma di Freud), i dibattiti, la madre, i coetanei, la psicanalisi, i giochi televisivi e i suoi colleghi aspiranti registi. Sia la critica che il pubblico all’epoca si divise nel giudizio al film. Il film infatti vinse al Festival del Cinema di Venezia del 1981 ma venne stroncato da Sergio Leone che affermò “Fellini 8 ½ m’interessa, Moretti 1 ¼ no”. [28] L’aggettivo più usato per questo film (e per Moretti) fu quello di essere troppo presuntuoso. Moretti si difese dicendo che non voleva mettersi al livello dell’8 ½ di Fellini e anche nella scena del ring televisivo voleva imitare il pugile Muhammad Ali (“Sono il più grande”) e non fare una dichiarazione di superiorità verso il cinema italiano. Su questa incomprensione Moretti in realtà giocherà per tutta la sua vita (ricordo il “Me lo dicono tutti” in risposta alla frase “Lei è il migliore” nell’ultimo Habemus papam del 2011). Qualche anno più tardi (1986) il film era in programmazione in un ciclo pomeridiano sulla Rai ma venne procrastinato in favore di una partita di calcio (come nel profetico Io sono un autarchico dove lo sport di massa oscura il film d’autore e al contrario del già citato Fantozzi dove in concomitanza con la partita dell’Italia il ragioniere è costretto a vedere il film d’autore). Michele Apicella è la risposta italiana ad Antoine Doinel, alter-ego creato da François Truffaut e sviluppato durante una parte della sua cinematografia. [29] Rispetto al regista francese Moretti non parte dall’adolescenza ma condivide lo stesso periodo (fine anni ’70). Rispetto ai primi due film, Sogni d’oro esce a 3 anni di distanza dal precedente Ecce bombo. La critica, che vedeva Moretti come il regista più sociologico di tutti si aspetta un film sulla falsariga del precedente. Moretti invece decide di fare un film sul grande ‘circo’ che lo circonda. La tv italiana è ‘travolta’ dal ciclone Berlusconi e non è più solo tv di Stato dove si trasmette prevalentemente cultura, cronaca e costume. Iniziano i primi varietà non convenzionali come La bustarella che tolgono audience a mamma Rai e alla Fininvest stessa. Come affermò Berlusconi stesso all’epoca “Andenna (conduttore del programma sopracitato), io nel marzo del 1982 le ho mandato contro i primi James Bond, le prime soap opera, ma non riuscivo a levare 1.000 spettatori in Lombardia a La bustarella” (anche in questo caso il pubblico italiano oltre al calcio preferisce la volgarità rispetto alla cultura) [30]. Moretti decise così di illustrarci questo cambiamento italiano attraverso la non-intervista a Telenova presente nel film e al Gioco senza frontiere-ring in Sogni d’oro. Un cambiamento già accennato nel precedente Bombo dove si citava una fantomatica Telecalifornia e un’altra radio libera. Stava nascendo la tv dove ‘tutto è spettacolo’, e anche i fuorionda sono consentiti. Una tv che Pasolini aveva già previsto nel 1971 in un’intervista censurata dalla Rai e mandata in onda dopo la morte, dove “Le parole che vengono dalla televisione cadono sempre dall’alto, anche le più vere. E parlare dal video è sempre parlare ex cathedra, anche quando c’è un mascheramento di democraticità” [31]. A parte la meteora Sergio Nuti (Non contate su di noi [32]) che rimaneva sulla linea del Bombo, stava esplodendo una nuova linea di registi che si distaccava dai ‘senatori’ come Monicelli (Match, 1977). “Per contro, il ‘pacchetto’ Moretti-Del Monte-Giordana-Piscicelli da un lato è pubblicizzato come la nuova ‘nazionale azzurra’ del cinema, dall’altro è pungolato attraverso la stimolazione della rivalità interna tra i quattro rampolli” [33]. Nello stesso periodo invece emergevano altri tre registi che non condividevano le tematiche di Moretti come i registi accennati precedentemente ma che avranno un grande successo di pubblico. I registi in questione sono Verdone, Nuti e Troisi. Ricomincio da tre [34] di Troisi sarà il film con il quale molti critici si confronteranno mettendolo a paragone con Sogni d’oro di Moretti. Il film di Troisi non condivideva gli argomenti con quello di Moretti ma veniva esaltato in quanto aveva quella ‘freschezza’ (tipico delle opere prime) che ormai Moretti aveva perso. In un’intervista a La Repubblica del giugno 1979 Moretti anticipava già l’idea di Sogni d’oro affermando che si trattava di “un meccanismo a orologeria che girerà in ottobre” [35]. Un’orologeria che ricorda l’Arancia meccanica di Kubrick. Con il regista americano Moretti condividerà tra l’altro la sua maniacale precisione nelle riprese (come si vede nel film). Sogni d’oro condivide la struttura a più livelli incastrati con i precedenti lavori di Moretti. Se in Io sono un autarchico i livelli erano divisi in base ai luoghi dove si muoveva il protagonista (città, montagna, teatro), in Sogni d’oro i livelli sono divisi in base a ciò che fa il protagonista (mondo circostante, luogo di lavoro, sogni). Si può vedere un’analogia anche in Ecce bombo dove il protagonista si divideva tra famiglia, autocoscienza con gli amici e rapporto con le donne. Oltre alla condivisione dei livelli si può notare un filo conduttore tra la fine di un film e l’inizio del successivo. Se alla fine dell’Autarchico ci trovavamo in un teatro, all’inizio di Ecce bombo ci troviamo in un set cinematografico. Luoghi diversi, ma sempre settori artistici. L’ultimo paragone da citare è quello che fa De Bernardinis sullo spazio di azione di Moretti. “La distanza che separa lo sguardo che da sinistra Michele getta su Olga e la sua entrata ancora da sinistra nella sala cinematografica per il dibattito, è simile all’osso che diventa astronave in 2001: Odissea nello spazio” [36]. In questo spazio tra un film all’altro il mostro Michele Apicella da maschera in Ecce bombo è diventato il presuntuoso regista in Sogni d’oro (dove però esiste ancora il mostro-lupo nella scena finale). La trasformazione durerà fino a Palombella rossa, dove nel frattempo il nostro eroe ha trovato lavoro (Bianca), un’identità politica (Palombella rossa) e in mezzo una purificazione dell’animo (La messa è finita). L’artista Michele è legato ad una pallina con la quale si sfoga dallo stress in cerca dell’ispirazione per il suo film. Michele lancia nervosamente la pallina contro al muro come faceva l’anno precedente (1980) Jack Torrance, il protagonista di Shining [37]. Non a caso Michele torna nella casa natale per trovare l’ispirazione al suo prossimo film in quanto qui ha ancora i giochi di quando era piccolo. Il Fanciullino di Pascoli così ha modo di uscire. Un altro paragone possibile (rimanendo su Freud visto che Michele sta lavorando ad un film proprio su Freud) è quello con Il poeta e la fantasia, dove “il poeta fa quello che fa il bambino giocando: struttura un mondo di fantasia in cui trovino posto i suoi desideri. Tali fantasie sono esplicitamente messe in relazione coi sogni, e si stabilisce così un confronto del poeta col sognatore, e della creazione poetica col sogno fatto a occhi aperti” [38]. Pallina rossa che tornerà protagonista in ‘La messa è finita’, eterno simbolo dell’infanzia perduta e della ricerca di quest’ultima. Se nei primi due film Michele aveva (anche per un breve periodo) una compagna al suo fianco, in Sogni d’oro l’unica donna è Silvia, interpretata da Laura Morante (futura Bianca). Per Michele però Silvia più che compagna, è una musa, la musa dei suoi sogni. Con lei tutti i deliri di superiorità cadono. Se Michele regista dice di essere “Il più grande di tutti” sul ring, a Silvia dirà “Non sono un uomo finito, ho ancora tante cose da dire!” Una Silvia leopardiana che Moretti si porta già dai suoi esordi (Silvia è il nome della moglie nell’Autarchico, è la fidanzata nel Bombo e sarà la sposa in La messa è finita dove don Giulio ironicamente afferma “Silvia la conosco da anni”). Il Michele professore infatti segue Silvia, in classe è un professore svogliato e quando l’alunna lo rimprovera lui se ne invaghisce. Dopo la crisi accennata poco fa Michele butta a terra la Super 8 di un ragazzo (e qui si potrebbe leggere un rifiuto o un superamento dell’Autarchia apicelliana) e diventerà un uomo-lupo portando a termine la sua trasformazione. Sogni d’oro si apre con tre dibattiti del regista Apicella in due luoghi differenti. Nel primo e nell’ultimo dibattito il regista è di fronte ad una platea di lavoratori (lavoratori inteso come ‘non intellettuali’), nel secondo invece ha di fronte il mondo accademico. In tutti e tre i dibattiti c’è sempre un uomo che pronuncia la famosa frase “Cosa possono capire del tuo film un bracciante lucano, un pastore abruzzese o a una casalinga di Treviso?”. Nel primo dibattito Michele non risponde, durante il secondo risponde a tono (ironicamente) “io non volevo rappresentare i giovani, a malapena rappresento me stesso”. Nell’ultimo dibattito invece svela con un telo un concierge di un albergo e il pubblico applaude in quanto si identifica nel lavoratore. Moretti con questa scelta va diritto nella sua via, ovvero quella di fare film non per il pubblico, ma anche per il pubblico. Se volete ‘ridere dopo una giornata lavorativa (bracciante lucano)’ guardatevi i dibattiti televisivi o i film trash al cinema, io faccio un altro genere di film (come lo ricorda al gestore del cinema che gli dice che il suo film non aveva avuto un buon incasso). Oltre a dare un messaggio al pubblico il regista lo vuole dare anche ai critici e agli addetti ai lavori: io non sono il paladino della mia generazione e non faccio film generazionali, racconto la mia esperienza nella quale qualcuno può identificarsi. Un pubblico verso il quale il critico (e quindi conoscitore della materia) pensa di conoscere a fondo. Spesso si è soliti catalogare tutto: pubblico, regista, film. In questo modo il critico di cinema già prima di andare a vedere il film ha un’idea su cosa va a vedere conoscendo le opere precedenti del regista. Quindi il suo giudizio a volte non è oggettivo. Il regista magari si è scostato dai lavori precedenti, ha fatto un film sperimentale e per questo viene stroncato a priori. Come se il suo passato parlasse per conto suo. Il tuo passato ti chiede la commedia, devi fare (solo) la commedia. Questo Moretti ci vuole mostrare in ‘Sogni d’oro’: un giudizio dei critici su ‘Ecce bombo’ in paragone a ‘Io sono un autarchico’. Se non ci fosse stato l’Autarchico (che già raccontava un’esperienza personale ‘generazionale’ di Moretti), ‘Ecce bombo’ per i critici sarebbe stato un capolavoro. E così con i lavori a seguire: nella critica ad Ecce bombo mi dite che sono presuntuoso? Allora faccio un film (Sogni d’oro) dove il regista è presuntuoso, ma non sono io (io Moretti). Questo ha creato un ‘effetto boomerang’ contro al regista, che nel successivo ‘Bianca’ ha dovuto cambiare registro e scelte di regia (uso del dolly e carrellate, per la gioia dei critici). In Sogni d’oro Michele ripete per la terza volta un concetto già espresso nei due precedenti lavori. Nell’Autarchico ‘sparava’ contro alla lotta di classe de Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto [39] e contro al cinema d’impegno civile con protagonista Volontè. Nel Bombo Michele è contro ai ‘bianchi e rossi sono tutti uguali’ o al product placement di Manfredi. È una scelta chiara del regista, può essere vista come un atteggiamento da ‘la volpe e l’uva’ ma non lo è. E nelle prime interviste Moretti lo diceva: “molti miei colleghi esordienti sono già venduti prima di essere comprati, non osano” [40]. Dopo essersi confrontato con il mondo lavorativo e accademico, Michele accetta di rilasciare un’intervista per la rete locale Telenova, appartenente al mondo cattolico. Qui dopo pochi secondi Michele si trova a parlare da solo di fronte al Super 8 e cerca qualcuno invano gridando ‘Aiutoo’. In Sogni d’oro oltre ai due fratelli siciliani che vogliono fare i registi, un’altra figura che segue i movimenti di Michele è Gaetano (interpretato da Alessandro Haber), sceneggiatore fallito che il mondo del cinema ha escluso. Questa figura, quella dell’‘escluso’ la ritroviamo anche in altri film di Moretti. In Ecce bombo è la ‘schizofrenica’ Olga, e in La messa è finita è Saverio (interpretato da Marco Messeri). Grazie anche a queste figure che Moretti si porta nei suoi film, l’Apicella antipatico alla fine di ogni film ci risulta misericordioso in quanto cerca di dare un aiuto alle persone. In questo film è diffusa l’ironia che Moretti ha verso la volgarità nel cinema/tv e della sua rappresentazione. Un’ironia che possiamo ritrovare soprattutto in Ecce bombo, Sogni d’oro e Bianca. In Ecce bombo il regista ci mostrava l’ironia verso Tele California, emittente locale che imitando mamma Rai mostrava gli interessi dei giovani e l’inviato faceva in modo che questi interessi fossero per forza culturali e dovesse regnare la condivisione. Una scelta simile la ritrovo in ‘La dolce vita’ [41], dove in un capitolo Fellini ci mostrava l’Italia televisivamente cattolica dove in realtà l’apparizione della Madonna era finta, e le bambine recitavano a tavolino.
Bianca
Michele Apicella atto quarto. In questo film Michele è un insegnante di Matematica che si è trasferito da poco nella Capitale (trasferimento tema che ritorna anche nel successivo ‘La messa è finita’ dove è visto sia come bilancio rispetto al passato sia come nostalgia per il tempo trascorso. Il prof Apicella infatti conserva maniacalmente le foto dei suoi amici come segno del passato come don Giulio invece ritrova la pallina quando torna nella sua casa natale). Nel nuovo condominio farà conoscenza di una coppia alle prese con i problemi di tutti i giorni e con Siro Siri, un signore anziano amante della bella vita. A scuola poi farà conoscenza di Bianca, una sua collega della quale si innamorerà. Michele è ossessionato dalla felicità delle coppie altrui, e proprio quando sta per raggiungere la felicità proprio con Bianca, sceglie di non viverla, in quanto ha paura che un giorno finirà come tutte le cose. A causa del mezzo insuccesso di Sogni d’oro questa volta la Rai si rifiuta di produrre il quarto lungometraggio di Moretti. Anche per questo film passano tre anni dall’ultimo lavoro e a parte l’eccezione de La messa è finita uscito nel 1985 sarà sempre così per i prossimi lavori del regista trentino (come gli ricorderà il suo collega Luchetti in una scena di Aprile dove Moretti stuzzicava Luchetti sul fatto che si era ‘venduto’ alla pubblicità). Il regista intanto va a vivere a Monteverde Vecchio e rilascia meno interviste rispetto al passato (non è più il Moretti di Match nello scontro con Monicelli). Bianca viene prodotto da A. Manzotti e dalla berlusconiana Reteitalia e il regista per la sceneggiatura inizia a farsi aiutare da Sandro Petraglia. Con la scelta di farsi produrre (anche) da Reteitalia c’è una sorta di tradimento all’autarchia tanto omaggiata dal regista nelle sue prime produzioni e nello scontro televisivo con Monicelli. Il film infatti sbanca su tutti i fronti: critica e pubblico. La messa è finita invece segna un’inversione di rotta per Moretti in quanto è prodotto dalla Titanus e infatti ritorna nel circuito ‘indie’ della critica vincendo a Berlino. Il successivo Palombella poi sarà prodotto dal regista stesso e quindi ci sarà un vero ritorno alle origini. Con questo film finalmente siamo di fronte a un canovaccio di scrittura con un inizio, parte intermedia e fine. Non abbiamo una sequenza di fotogrammi che compongono un film, ma una vera idea di film. Il film non ruota solamente intorno a Michele, ma anche con Michele. Il minutaggio degli altri attori infatti è superiore rispetto ai precedenti film. Notiamo anche un cambiamento nella regia con più movimenti di macchina e non solo camera fissa, dissolvenza, altra scena. In questo film non ci sono solo caratteristi (character actors dall’inglese) ma attori protagonisti e non protagonisti. Il film sostanzialmente ruota attorno a quattro attori: Michele, Bianca, il commissario e Siro Siri, il vicino di casa di Michele. Non è un film ad incastro ma una storia con protagonista Michele e gli altri attori. Lo spettatore si sente più partecipe rispetto ai lavori precedenti. Se da una parte c’è l’occhio di Hitchcock (La finestra sul cortile) [42], dall’altra è un film ‘on the road’, dove Michele si muove, e noi con lui. Se prima c’era la realtà studentesca di Michele o i sogni di Michele, ora c’è una guida che ci mostra la vita del protagonista. D’ora in poi tutto sarà sotto controllo: lo spazio, il tempo, il lavoro e i sentimenti. Nulla deve essere dettato dal caso, non ci devono essere imprevisti: Bianca si presenta senza avviso a casa di Michele con ‘l’ultimo gelato della stagione’ e Michele le chiude la porta in faccia (come l’inizio de Io sono un autarchico o come Saverio ne La messa è finita). Per Michele la vita deve essere perfetta come in un sogno, senza sovrastrutture dei Sogni d’oro precedenti. Anche lo spazio è delineato in questo film: il protagonista ruota attorno a casa sua, alla scuola e al commissariato. Ogni tanto va a trovare gli amici o esce con Bianca ma tutto è programmato. Michele non vuole essere seguito dagli altri ma cerca attenzioni: per questo consigliato dall’amico Siro Siri legge Proust su una barca in un laghetto sperando di essere ‘abbordato’ da qualche ragazza. Ma le attenzioni (come i sentimenti) non sono matematici, possono esserci altri fattori che influenzano la buona riuscita del tutto. Come un neonato che ogni tre ore deve mangiare, anche la vita di Michele deve essere suddivisa in momenti prestabiliti, ci deve essere una routine. Questo perché altrimenti il protagonista rischia di smarrirsi (dirà allo psicologo della scuola: “Io dovrei studiare, ma a casa non ci riesco. A scuola almeno sono costretto: a casa mi costruirò degli orari, dei metodi”). Un approccio matematico alla vita insomma. Nella sua prima parte della filmografia (ovvero fino a Palombella del 1989) lo spazio di Apicella è legato alla ‘casa’. Sicuramente il nostro personaggio vive anche in altri contesti (teatro nell’Autarchico, set cinematografico in Sogni d’oro) ma ritorna sempre a casa, il nido dove c’è sempre qualcuno ad accoglierlo. In Sogni d’oro e in La messa è finita è la mamma, verso la quale c’è sempre un rapporto di amore-odio. In ‘Bianca’ invece Michele per la prima volta è solo, e gli altri luoghi dove si muove sono la scuola e il commissariato. Se Ecce bombo era un film ‘orizzontale e statico’, Bianca è l’opposto, ovvero verticale e dinamico. Un esempio lo troviamo all’inizio del film, dove Michele scende le scale per arrivare alla nuova casa (scale che rivedremo in Caro diario). Qui poi Michele disinfetterà il bagno della casa dando fuoco ai sanitari della casa. Questa scena Moretti ce la mostra dall’alto, e questa volta lo spettatore rimane stupito in quanto è un altro Moretti rispetto al Moretti ‘statico’ di Ecce bombo. Un’altra discesa (fisica) del personaggio l’abbiamo quando Michele riporta a casa Bianca e poi si imbatte nel poliziotto che lo sta pedinando. Da questo momento in poi oltre ad una discesa fisica inizierà anche una discesa psichica di Michele con le sue ossessioni verso la fedeltà di coppia e la sua mancanza di felicità. Se nei film precedenti Michele era aggressivo con le persone attorno a lui, in Bianca è meno aggressivo, anche se poi alla fine si scoprirà sarà lui il colpevole degli omicidi. Lo spettatore però nonostante la confessione non riesce a credere che sia stato veramente lui, in quanto Michele è un eterno ‘ricercatore della felicità’. E questo si nota dall’ammirazione per tutto il film per la famiglia di fronte a lui (l’unica con la quale non ha contatti). De Bernardinis associa il viaggio di Michele come un viaggio agli inferi. “Qualcosa di simile si trova in ‘Il sorpasso’ di D. Risi o in ‘Tutti a casa’ di L. Comencini: viaggio dal sud al nord il primo, viceversa il secondo. Entrambi verso la morte dell’amico come scatto per l’avvenuta maturazione interiore.” [43] Michele quindi si improvvisa giustiziere divino uccidendo le coppie ‘traditrici’ e meritandosi quindi la salvezza in quanto ha fatto la scelta giusta. Un’idea paradossale che ritroviamo anche nella cronaca odierna: quando ci sono dei problemi c’è il caso dell’omicidio-suicidio del partner. In questo modo il partner deluso consegnerà ai postumi una ‘felicità eterna’, non più possibile nella vita terrena ma possibile nella vita ultraterrena. Significativo anche il parallelo tra scuola e commissariato: oltre all’educazione della famiglia infatti ogni ragazzo riceve un’educazione dalla scuola. Se sia l’educazione famigliare che quella scolastica falliscono il ragazzo (e quindi futuro cittadino) avrà a che fare con un commissariato. Qui c’è sintesi della posizione di Michele: insegna in una scuola strampalata ed è anche lui un ‘bambino’. In un’occasione infatti uno studente lascia senza parole il professor Michele con un enigma matematico. Durante una correzione di un compito poi invece di rispondere all’alunno se la soluzione è giusta o sbagliata risponde con: “E non hai pietà tu di me” (frase ripetuta in Palombella rossa quando Michele sta perdendo la partita e per impietosire l’avversario pronuncia queste parole) vendicandosi del problema matematico che gli ha posto il ragazzo qualche giorno prima la quale il professore non è riuscito a rispondere. Infine durante un’esercitazione di ginnastica: un ragazzo provoca Michele e lui invece di placare gli animi ha uno scontro fisico col ragazzo: sia l’istituzione ‘scuola’ ha fallito (Marilyn Monroe) sia il progetto di Michele di vedere le altre coppie felici per sempre. In molte opere di Moretti si può notare il ‘film nel film’ che non è meta cinema come in Sogni d’oro ma il film inteso come passione di Moretti per quest’arte. In Bianca invece Michele (e anche il pubblico inevitabilmente) è un voyeur e per lui la vita degli altri è il suo ‘cinema’. Infatti cerca di non perdersi ogni attimo (mangia un uovo e intanto guarda la ‘famiglia felice’ di fronte a lui) oppure quando Bianca è a casa sua le fa vedere la routine serale sempre della stessa famiglia. Quando quest’ultima chiude le persiane allora Michele dice a Bianca “ora vediamo un po’ di televisione” per restare in continuum con il ‘film’ precedente della famiglia. Nel film infatti non vediamo dialoghi di conoscenza tra Michele e Bianca. Ci sono solo due dialoghi: uno di gelosia sugli ex fidanzati di Bianca e uno al ristorante dove Michele lascia Bianca. Michele non parla mai di se, del suo passato. Forse perché in tutta la sua vita ha sempre visto vivere gli altri (voyeur) e non ha mai vissuto realmente. Nel film poi vediamo come ci siano dei doppioni di Michele, e questi doppioni sono sia in versione positiva che in versione negativa (o meglio fallimentare). I doppioni ‘adulti’ di Michele sono il commissario e Siro Siri (già dal nome possiamo notare il doppio di se stesso), i doppioni ‘en train de’ (in corso d’opera) invece sono l’alunno che si sta per sposare e il fratellino della sposa. Siro Siri e l’alunno che si sta per sposare rappresentano la versione ‘positiva’ di Michele in quanto l’alunno ha una compagna di vita e tutta una vita da vivere. Siro Siri invece vive da solo però non rinuncia ai piaceri della vita. Le versioni ‘fallimentari’ di Michele invece sono il commissario e il fratello della sposa dell’alunno. Il commissario in quanto ha un matrimonio fallito alle spalle e il bambino in quanto si fa trovare pronto alle domande di Michele (“tu ce l’hai la ragazzina?”). Michele invece non risponde alla domanda del bambino (“vorresti avere la ragazza?”) in quanto Moretti taglia sulla risposta e ci mostra una sua foto da bambino: qui vediamo il passaggio di consegne da Michele al bambino. Assieme alla foto da bambino Moretti in ‘Bianca’ si è portato tutto ‘da casa’: libri, piante e foto. La motivazione è che le agenzie che affittano libri per i film hanno sempre gli stessi libri (sia che si giri un film in costume, sia che si giri un film ai giorni nostri). Quindi Moretti per dare più senso al personaggio del prof. Apicella si è portato i suoi veri libri. Doveva esserci anche la foto (che ritroveremo nel successivo ‘La messa è finita’) di Moretti che girava ma alla fine il regista ha optato solo per la sua foto da piccolo evitando la doppia citazione personale. Michele essendo un osservatore non sopporta che qualcun altro gli rubi questa caratteristica. Uno di questi è il commissario, che già dal primo incontro chiede a Michele perché nel suo armadio ha tante scarpe dello stesso modello. Michele sta per rispondere ma poi viene interrotto dal commissario che gli dice “sono affari suoi, è la deformazione personale”. Tra i due poi si instaura una sorta di rapporto speciale padre-figlio. Un ulteriore esempio possiamo trovarlo a metà film quando Michele (in modo serrato come il commissario) chiede a quest’ultimo informazioni sulla vita privata. Poi si scusa ma il commissario invece di riprenderlo e mantenere le distanze scherza perché di solito è lui a trovarsi nella posizione di interrogatore. Oltre al commissario un’altra persona che osserva il lavoro di Michele è il preside della scuola. Michele infatti si sente in dovere di raccontargli la sua situazione precaria riguardo l’attenzione (“in questo periodo non riesco a concentrarmi, a studiare. Mi costruirò un metodo, con degli orari..”). “Preside e commissario sono visti più come regola, un doppio istituzionale tra censura e regressione, se è vero che rivelano anch’essi caratteristiche infantili: il preside come capo effettivo di quel circo Barnum che è la M. Monroe; il commissario pizzicato da Michele coi lacci delle scarpe di colore diverso” [44]. La preoccupazione principale di Michele però è trasmettere ad un’altra persona il suo modo di fare, di osservare. Alla fine del film infatti Michele dice ai due poliziotti “È triste morire senza figli”. Anche se Michele è contento perché ha idealmente trasferito se stesso sul fratellino del suo alunno, non ha messo al mondo un suo vero figlio, con i suoi geni da riprodurre nel futuro. Dopo la pausa in ‘La messa è finita’ Moretti in ‘Palombella rossa’ tornerà sulla questione del doppio e dei figli. Nel film infatti è padre (la figlia è interpretata da Asia Argento) e la figlia è un clone del padre. Oltre alla figlia anche in questo film sono presenti i doppi come figure chiave o alter-ego. Alcuni esempi sono Remo Remotti (persona chiave dell’allenatore Silvio Orlando) oppure il guru Raúl Ruiz, persona chiave per il cattolico che vuole convertire il comunista Michele perché loro sono ‘diversi ma uguali’. Se in Sogni d’oro Michele che lanciava la pallina ci ricordava J. Nicholson in Shining, in ‘Bianca’ Michele che legge Proust su una barca ci ricorda uno dei quadri di Kubrick in Barry lyndon [45], dove Michele tenta di estraniarsi dal mondo per essere ‘visto’ dalle altre donne. Un altro omaggio a Kubrick si può trovare in ‘La messa è finita’ dove il tentativo di annegamento di don Giulio ci ricorda quello dei drughi nei confronti di Alex, il capogruppo. In Ecce bombo le case comuni erano un ultimo tassello del ’68, un sessantotto dove veniva messa in discussione l’istituzione scuola, per l’appunto. In Bianca c’è una visione totalmente differente della scuola come istituzione. Come afferma lo stesso preside della M. Monroe “compito del docente è ‘informare’, non ‘formare’ e questo lo vediamo nella esposizione da parte del docente di storia della nascita di Il cielo in una stanza di G. Paoli, senza un intervento critico. Se il ’68 voleva ‘formare’ la futura classe dirigente, la Monroe vuole informare. Questo lo possiamo notare anche dalla scelta del poster di Zoff al posto di quello del Presidente della Repubblica o di Jagger invece dei Beatles. Lungo tutta la sua filmografia Moretti ci ha voluto narrare la vita dei ‘vinti’, degli sconfitti. Se in alcuni casi c’è una speranza, o un tentativo di rinascita, nella maggior parte purtroppo c’è una sconfitta non modificabile. E così Fabio, il regista di Io sono un autarchico esce sconfitto dal suo progetto teatrale, così come il professor Apicella in Bianca. Al contrario invece le ultime due opere da me analizzate di Moretti: Caro diario ed Aprile, dove il protagonista nonostante tutte le disavventure è ancora vivo fortunatamente (Caro diario) e in Aprile riesce almeno a girare una scena del film sul pasticciere trotzkista. Nonostante la sconfitta finale solo nei primi due film di Moretti e forse in Palombella rossa c’è un desiderio di ‘coralità’ nei protagonisti. Nei film successivi invece il protagonista è ‘solo contro il mondo’ e quindi deve risolvere da solo i problemi che gli si presentano nel corso della vita. In ‘Io sono un autarchico’ Fabio mette su una compagnia teatrale per un progetto sperimentale, in ‘Ecce bombo’ invece Michele tenta l’esperimento di autocoscienza maschile come risoluzione ai problemi. Entrambi falliranno nel progetto iniziale, ma almeno in loro c’è un tentativo (come ricorda Michele alla sorella, il cui unico interesse invece è far tardi la sera e uscire con il ragazzo).
La messa è finita
Dopo aver interpretato per tutti i film precedenti l’alter-ego Michele Apicella, in questo film Moretti mette da parte Apicella (tornerà per l’ultima volta in Palombella rossa) e interpreta don Giulio. Nonostante il film sia ambientato negli anni ’80 Moretti sceglie di interpretare un prete con l’abito talare lungo e non con il più comodo clergyman (l’abito maggiormente usato tutt’ora dai parroci). Il film racconta il ritorno di don Giulio nella sua città natale a causa della ‘dipartita’ del vecchio parroco che ha messo su famiglia. Per tutto il film don Giulio cercherà di riallacciare i rapporti con i suoi vecchi amici e con la famiglia d’origine. Purtroppo non riuscirà nell’operazione in quanto la situazione è molto cambiata rispetto a quando don Giulio era partito anni fa. Con questo film Moretti continua nella sua ricerca iniziata con Bianca della felicità nella coppia e nelle persone in generale. Purtroppo anche in questo film non riuscirà a cambiare le scelte delle persone ma rispetto al precedente Bianca don Giulio ci lascia con un finale di speranza per la comunità (rispetto alla delusione personale del precedente lavoro). Il pregio dei film di Moretti è che se anche inserisce personaggi fuori dal contesto reale, una traccia di attualità veritiera è sempre presente. Il regista non ha mai fatto film su un determinato periodo storico (si noti l’ironia nei confronti del regista concorrente in Sogni d’oro che fa un musical sul Vietnam), e grazie a questa scelta non ha mai rischiato di incorrere in anacronismi o in punti di vista errati nelle sceneggiature. In questo film Moretti grazie al personaggio di Salemme ci mostra una conseguenza dei fatti dai quali l’Italia sta cercando di uscire: gli anni di piombo (fine ’70 inizi ’80). In un’intervista lo stesso Moretti afferma come l’idea originale fosse quella di affiancare a don Giulio un fratello gemello ‘cattivo’ che invece della strada ecclesiastica aveva scelto quella del terrorismo. Questo ruolo invece fu affidato a Vincenzo Salemme, attore già comparso nei precedenti due film del regista trentino. Se nei film precedenti Moretti aveva prestato più attenzione ai dialoghi tra i protagonisti, in questo film finalmente ha il physique du rôle per il ruolo che interpreta. Su suggerimento della costumista infatti si taglia la barba e lascia da parte il personaggio di Apicella (per far apparire il personaggio più misericordioso già dall’aspetto anche se non lo è nel carattere). Non c’è più l’esasperazione del linguaggio corretto ma ogni parola è studiata a tavolino (da bravo parroco). La differenza però tra don Giulio e il prof. Apicella è l’atteggiamento degli altri nei suoi confronti. Don Giulio sarà più ‘spietato’ nei giudizi (scena di don Giulio a tavola con l’ex parroco) ma non avrà un confronto adeguato in quanto gli ‘altri’ hanno timore della figura che rappresenta. Se per tutti i film precedenti Apicella alternava momenti di sconforto a momenti di vitalità (“Io sono triste, ma sono teatrale, vitale, tu sei triste, triste squallido” - Ecce bombo) in La messa è finita per la prima volta Moretti si mostra ‘umano’ e sfoga il suo tormento. Don Giulio nonostante voglia dare sicurezza alle persone che gli ruotano attorno in realtà ci mostra una profonda sofferenza, una sofferenza però non verbalizzata. In Ecce bombo o Sogni d’oro ad esempio Michele sfogava la sua rabbia nei confronti del padre (o madre) o del suo aiuto-regista (ricordo i pugni al padre o a T. Sanguineti). Qui invece il protagonista si sfoga verso oggetti e non persone: ricordiamo il pugno al vetro che ci mostra l’incomunicabilità (M. Antonioni?) con la sorella o il dialogo con la madre defunta sul capezzale dove ‘sputa’ fuori i rancori e l’amore che non è riuscito a dirle quando era viva. Un film che grazie alla sua incomunicabilità lo rende ‘esportabile’ e apprezzato nel mondo (Orso d’argento vinto dal film a Berlino). Se come modelli italiani Moretti si ispirava ai vari Bellocchio, Bertolucci, Ferreri, il regista con il quale Moretti è stato paragonato (oltre a W. Allen per la psicoanalisi) è sicuramente François Truffaut. Del regista francese in particolare si paragonano le caratteristiche del prof. di Bianca simili al protagonista di Baci rubati [46]. Un ulteriore collegamento si può vedere nel doppio alter-ego Truffaut-A. Doinel e Moretti-Apicella. Nonostante in questo film l’alter-ego venga accantonato, si può vedere l’inizio de La messa è finita (tuffo di don Giulio nel mar Tirreno) come una prosecuzione del finale de I quattrocento colpi [47], dove iniziava il percorso di Antoine Doinel. Dopo gli anni di piombo degli anni ’70, la società che Moretti ci mostra in questo film non è molto incoraggiante. Nei film precedenti c’era una società che accoglieva le idee diverse (case comuni in Ecce bombo), qui invece notiamo una società che reprime ogni diritto o volontà. Due esempi sono Il tentativo fallito di don Giulio di parcheggiare (uno sconosciuto tenterà di affogarlo) e un altro esempio è il tentato accoltellamento da parte di due sconosciuti nei confronti dell’amico omosessuale del parroco e del parroco stesso. In questo film la figura rassicurante del parroco non ne esce vincitrice, così come in Bianca venivano messe in crisi due istituzioni dell’educazione come la scuola e la giustizia. Oltre al fallimento personale di don Giulio, in questo film continua il fallimento di coppia già accennato in Bianca: infatti sia i genitori del parroco che la sorella non manterranno solido il nucleo famigliare. Prima del film di Moretti nell’immaginario collettivo italiano la figura del parroco era legata sicuramente a Don Camillo [48], ovvero del parroco come figura bonaria per la comunità. Altri esempi celebri sono A. Fabrizi in Roma città aperta [49] che si sacrificava per noi o il Mastroianni de La moglie del prete [50] in crisi con la fede. Non c’era mai stato insomma una figura ‘contro’, un prete che prima di essere prete è un uomo, e come tutti gli uomini si arrabbia. Un prete che non ha paura di dare giudizi senza troppi giri di parole. Anche in questo la scelta di Moretti dell’abito tradizionale è vincente: la mente collega subito la figura del parroco a Don Camillo ma non è Don Camillo, è un uomo come noi, e come ‘professione’ fa il prete. Rispetto ai film precedenti La messa è finita rappresenta tante ‘prime volte’ di Moretti. È la prima volta che passa solo un anno (1985) dal film precedente (Bianca), è la prima volta che Moretti abbandona l’alter-ego Apicella, è la prima volta che si taglia la barba per mostrarci un ruolo più consono, ed è la prima volta che un suo film inizia con un prologo. Il film infatti si apre con don Giulio che guarda il mare di Ventotene. Come giustamente afferma De Bernardinis lo spettatore pensa subito ad una continuità col finale del film precedente. “Lo spettatore che probabilmente ha ancora negli occhi le manette del finale di ‘Bianca’, pensa magari di trovarsi ad Alcatraz. C’è un edificio, in effetti, invecchiato ed austero, un uto procu, un uomo che sembra (rasato e i capelli corti) Michele da ragazzo, oppure (camicione azzurro) un detenuto” [51]. In effetti potremmo pensare che Michele è agli arresti domiciliari e sta scontando gli ultimi mesi dopo gli omicidi compiuti in Bianca. In effetti se proviamo a togliere un attimo l’abito talare, don Giulio ha le stesse caratteristiche del prof. Apicella. Durante la fine della celebrazione del suo primo matrimonio al ritorno in città infatti la donna che si sta sposando si chiama Silvia, come la Silvia leopardiana che Moretti si porta con se nella sua prima parte della carriera (“Silvia la conosco da molti anni”). Dopo questa affermazione don Giulio raccomanda ai due neosposini “La fedeltà reciproca, l’educazione dei figli e ancora la fedeltà reciproca” mantenendo le stesse prerogative del professor Apicella (cambiano i ruoli ma le idee non cambiano). Finalmente rispetto ai film precedenti siamo di fronte ad un canovaccio, ad un racconto che si sviluppa dall’inizio alla fine. Già in Bianca Moretti aveva intrapreso questa strada ma si era fatto aiutare sempre dai ‘doppi’ (Siri, commissario ecc.). Qui invece don Giulio vaga da solo con gli altri personaggi, e il racconto si dipana con lui. Non abbiamo più frammenti di immagini (o scenette) che portano avanti il film, ma un racconto che si sviluppa. La messa è finita è il vero film sull’infanzia da parte di Moretti. Sicuramente negli altri film c’erano elementi che riconducevano alla vita passata del regista (la scuola in Bianca che si collegava alla professione dei genitori o nel futuro Palombella rossa che ci racconta la sua vera passione per la pallanuoto), ma in questo film il protagonista ritorna al passato, e questo lo vediamo nella scena chiave del ‘tour’ in casa per vedere se è cambiato qualcosa negli anni. In realtà è rimasto tutto come prima, e al posto di Buster Keaton appeso in camera ora c’è un giovane Moretti coi baffi, un Michele che ormai fa parte del passato, è diventato regista ma non è più il fulcro del film. Sia in ‘Io sono un autarchico’ che in ‘Ecce bombo’ per la stanza di Moretti, il regista ha girato nella sua vera stanza di casa dei genitori. In ‘Sogni d’oro’ invece ha ricreato la stanza identica in teatro di posa. Anche il rapporto verso la madre da questo film in poi cambia: non c’è più il complesso d’Edipo presente in due film precedenti del regista (Ecce bombo e Sogni d’oro). Questa volta nei confronti della madre c’è un eterno tentativo di consolazione (cattolico) che non va a buon fine. Don Giulio infatti cerca sempre di razionalizzare il tradimento del marito e alla madre urla “Non piangere!” La madre giustamente scoppia a piangere e se ne va. Arriverà pure a perdonare il marito affermando che lui l’ama veramente ed è colpa sua se lui l’ha tradita. Nonostante questo tentativo di perdono la madre alla fine si suiciderà e qui ‘verrà fuori’ il bambino Giulio che con la maturazione è stato accantonato. Don Giulio infatti lascia da parte gli abiti del parroco e da figlio distrutto nega il perdono alla madre che ha scelto di togliersi la vita e ora l’ha lasciato solo contro al mondo. Se in Ecce bombo veniva mostrata una Roma subacquea che non ci mostrava la sua bellezza, in ‘La messa è finita’ spesso ci sono panoramiche che ci mostrano Roma nella sua bellezza. Una bellezza non esaustiva come quella di Caro diario però una Roma come punto nel quale tornare. Il protagonista infatti dopo essere stato parroco in un’isola deve tornare da ‘Mamma Roma’ (Pasolini). Bianca si apriva con una scena dove era presente il fuoco (per disinfettare i sanitari), in questo film invece è presente in maniera significativa l’acqua come purificazione. Dal mare dove don Giulio si tuffa per tornare alla sua Roma natale; alla piscina, dove il figlio di Saverio e Astrid anticipa il bambino Michele che sarà presente nel futuro Palombella rossa. Altri elementi di purificazione sono la fonte battesimale dove don Giulio ormai disinteressato battezzerà un neonato, e la fontana, dove don Giulio rischierà di essere affogato da un piccolo gruppo di incivili. Le ultime due fonti sono il lago di montagna dove si rifugia il fidanzato della sorella del parroco per fare birdwatching e il bagno allagato di Saverio, grazie al quale Saverio riuscirà ad uscire di casa ed iniziare (?) un percorso di uscita dalla depressione. Il film vince l’Orso d’argento al Festival del cinema internazionale di Berlino del 1986 e consacra finalmente Moretti a livello mondiale dopo le prime critiche positive francesi per i film precedenti. Nell’articolo di inizio 1987 da parte di G.L. Rondi su Il tempo il film viene inserito nella top 3 dei migliori film dell’anno precedente. Nella classifica il film viene paragonato (per il mix di commedia e amarezza) a Speriamo che sia femmina [52] di Monicelli. Un paragone che ci rimanda alla memoria lo ‘scontro’ ormai lontano che avevano avuto i due registi dieci anni prima in Match su Rai 1. La messa è finita di conclude con Ritornerai di Lauzi, e questo verbo assume duplice valenza per don Giulio in quanto ritornerà lontano dalla sua città natale (Roma) nella quale purtroppo ha fallito nel suo lavoro e ritornerà a vestire i panni di Michele Apicella per l’ultima volta. Mentre scorre la canzone intanto inizia un balletto e tra le coppie che ballano è presente anche Saverio che ritorna appunto con Astrid. Don Giulio sorride e la scena si chiude con un’inquadratura all’altezza della testa di don Giulio, proprio come all’inizio del film dove ci mostrava una panoramica su Roma.
Palombella rossa
Palombella rossa, formalmente l’ultimo film dove Moretti indossa i panni del suo alter-ego Michele Apicella. Ma torniamo a monte: settembre 1989, Venezia. A distanza di otto anni Nanni Moretti torna alla Mostra internazionale d’arte cinematografica, torna dopo aver vinto il Leone d’argento con Sogni d’oro. Anche in questo caso (come nella maggior parte dei casi) il film viene snobbato dalla critica ma avrà un gran successo di pubblico. Sorte opposta rispetto ad otto anni prima, dove il film vinse a Venezia ma non ebbe un buon riscontro sia di pubblico che di critica postuma. Il film non è in gara ma partecipa all’evento speciale assieme al Decalogo di Kieślowski, a L’Attimo fuggente di Weir (che qualche mese più tardi avrà successo in tutto il mondo) e al terzo ricco episodio di Indiana Jones [53]. Il film vince il Premio Filmcritica a Venezia e viene nominato in tutte le categorie ai David di Donatello ma puntualmente ne esce sconfitto. Se nelle edizioni passate l’arrivo di Moretti al festival era visto come evento (sia per il film che per l’autore), oggi con Moretti si muove la macchina cinema autarchica. Ho detto macchina in quanto nel frattempo Moretti ha fondato la sua casa di produzione-distribuzione (Sacher film) e ha prodotto il primo film di Mazzacurati (Notte italiana [54]). Per il circuito indipendente Moretti fu uno dei primi ad apprezzare l’esperimento di Renzo Rossellini (primogenito del regista Roberto) di fondare nel 1981 la ‘Scuola di cinema Gaumont’, prima scuola di cinema in Italia non finanziato da soldi pubblici (rispetto al monopolio del Centro Sperimentale di Cinematografia romano). La Gaumont chiuse tre anni più tardi e uno degli alunni (Domenico Procacci) decise di fondare la casa di produzione Fandango che nella sua storia ha prodotto film per Mazzacurati e Moretti stesso (Habemus papam). Tutte iniziative (Sacher, Gaumont e Fandango) che come obiettivo iniziale volevano ‘arrivare’ al grande pubblico senza passare dai soliti circuiti monopolistici. Un esempio opposto è quello di Tornatore, che “ha deciso senza indugi per il ruolo del rampollo di scuderia, da Rizzoli a Cristaldi, accettando anche altari subalterni rispetto al produttore-padre, ma sanzionando l’essenza-cinema della propria figura e di ciò che filmava [55].”. E questa scelta ha portato subito la gloria internazionale (Oscar per Nuovo cinema paradiso, seconda opera del regista), ma in cambio di un final-cut non deciso dal regista ma vincente all’estero. Oltre alla Sacher film e a Palombella rossa, il 1989 è anche l’anno dei premi Sacher d’oro, ovvero premi assegnati da Moretti ai migliori film italiani della stagione. Il primo film a vincere è Mery per sempre di Marco Risi. Ma torniamo alla trama: in seguito ad un incidente stradale il protagonista perde la memoria. Durante tutto il film poi Michele parteciperà ad una partita in trasferta della sua squadra durante la quale al protagonista riaffioreranno i ricordi del suo passato da militante del PCI. Il film si chiuderà con la sconfitta da parte della sua squadra e con un sorriso di speranza da parte del Michele Apicella bambino che saluta un cartonato raffigurante una palla rossa che viene innalzata da delle corde. Palla che richiama sia la palombella rossa della pallanuoto che la speranza di una crescita del partito (PCI) del quale fa parte Michele. Per tutto il film Michele spesso si addormenta e ci vengono mostrati dei sogni che ci riportano alla sua infanzia o al suo trascorso politico. Questi due argomenti (sogni e infanzia) collegano questo film a due film precedenti di Moretti: Sogni d’oro e La messa è finita. Se nel primo film di Moretti il suo sogno ricorrente era il suo amore platonico verso la sua alunna Silvia, in La messa è finita l’infanzia ci viene solo raccontata e mai mostrata. In Palombella rossa invece Moretti ci mostra com’era da bambino, ovvero biondo, curato nel vestire e già amante dei dolci (scena dove ruba il dolce ad un neonato). In quella scena (che possiamo ancora collegare a I quattrocento colpi di Truffaut) il regista non si preoccupa di mostrarci se veramente il bambino va a costituirsi alla polizia, ma già ci mostra la sua mania per le scarpe (“Mamma dove sono le mie scarpe? No le pantofole no!”). Mania delle scarpe che già era venuta fuori durante la scelta del cast in Sogni d’oro e nel finale di Bianca per renderci più dolce la tragica confessione del prof. Apicella. In questo film è evidente la perdita di memoria del protagonista. Ma già dai film precedenti potevamo vedere come il protagonista perdeva la memoria (sempre riguardo ad argomenti politici, a parte quando non si ricorda la morte del suo amico Alfredo in ‘Ecce bombo). Dettagliatamente i casi dove perde la memoria sono: Io sono un autarchico (dove chiede ad un coetaneo a che servissero le manifestazioni per l’Irlanda); in Ecce bombo (sfogliando giornali vecchi si chiede che senso avessero le manifestazioni per il Portogallo), in Bianca (nel monologo finale si chiede chi era Otelo de Carvalho). Nel percorso cinematografico di Moretti e nel cinema italiano in particolare ‘Palombella rossa’ è un’opera sicuramente sperimentale per il modo in cui racconta uno sport, soprattutto non il calcio (interesse che ricopre il primo posto per una grande fetta degli italiani). Un altro film sperimentale per Moretti è sicuramente il seguente Caro diario dove c’è un mix tra realtà e finzione. Nei confronti della politica Moretti nonostante fosse convinto delle sue idee nei suoi film riesce sempre a ironizzarci sopra. Questo si nota già nel suo primo cortometraggio (La sconfitta, ripreso a tratti in Palombella rossa) dove afferma “ma che ce frega a noi dei desideri delle masse?” insinuando dei dubbi nel suo amico fedele al partito. Un secondo esempio lo troviamo nell’esordio Io sono un autarchico dove Michele legge tratti de Il Capitale di Marx e si chiede per l’appunto “ma forse non avrò sbagliato ideologia?”. Un ultimo esempio lo troviamo in Aprile dove più che un’ironia troviamo uno sconforto nelle scelte (o non scelte) da parte degli esponenti della sinistra italiana. In Palombella rossa invece nonostante la giornalista sia di un altro campo (settore sport) leggendo poche righe del manuale del PCI riesce a mettere in difficoltà Apicella come nella sera prima durante il dibattito televisivo. Michele infatti farfuglia qualcosa di politico pur di non far scena muta e cita la frase “noi siamo diversi dagli altri, ma siamo uguali”. Alla fine del film poi ripeterà la stessa frase contraddittoria e chiamerà in aiuto la madre (“mamma vienimi a prendere” che richiama l’aiuto de La messa è finita) come un bambino incapace di rispondere ai problemi del mondo. In un’intervista Moretti ha affermato che nei suoi film aveva raccontato quasi tutto della sua vita privata. L’unico aspetto che mancava era la pallanuoto. L’idea iniziale era di inserire la pallanuoto come sport praticato dal prof. Apicella in Bianca o da don Giulio in La messa è finita. In nessuno dei due film però era riuscito a ritagliare questo spazio. Così il regista decise di fare un film incentrato sulla pallanuoto ed in particolare un film su una trasferta decisiva per la squadra, non una partita di cui non importava l’esito finale. Così lo spettatore può vedere questa gara come una sintesi della vita in generale dell’alter-ego Michele Apicella: dal suo passato politico, all’amnesia e soprattutto i ricordi dell’infanzia. E qui Apicella chiamando invano la madre inserisce anche La messa è finita nel percorso del personaggio di Apicella. Se nel finale del film precedente infatti don Giulio invocava le “nugatine che ormai non fanno più”, qui ricorda “le merendine al cioccolato che non torneranno mai più”. Prima dell’intervista con Michele, l’intervistatrice intervista un compagno di classe di Michele. Il compagno (interpretato da Traversa, Mirko di ‘Ecce bombo’) ricorda a Michele un episodio quando avevano attaccato un cartello ad un ragazzo che invocava a picchiarlo in quanto era fascista. Michele si vergogna del fatto e se ne va. Fabio guardandolo gli chiede ad alta voce più volte “Ti ricordi, ti ricordi?” come faceva l’attore Giorgio Viterbo in ‘Come parli frate”, mediometraggio di Moretti. In quell’occasione continuava a ripetere “Chi è, chi è?” agli altri bravi. Del suo sport, la pallanuoto, Michele più del risultato in sé della partita, è legato alle pizze che si mangiano nello spogliatoio alla fine della partita. E anche i vari commenti con i compagni di gioco, insomma ‘lo spogliatoio’ o ‘camerata’ maschile che unisce anche i meno forti. Rispetto ai film iniziali dove Moretti s’era affidato per le musiche a Franco Piersanti (con il quale riprenderà a lavorare per gli ultimi due lavori, Il caimano e Habemus papam), da La messa è finita il regista s’era affidato al compositore Nicola Piovani. In Palombella rossa in particolare c’è una scena iniziale dove c’è il riscaldamento della squadra prima della partita. Nella scena ci sono dei cartonati con pubblicità di dolci vari e in sottofondo Moretti inserisce una composizione di Piovani. Questa sinfonia ci ricorda il Nino Rota più ispirato (Boccaccio ‘70 episodio Le tentazioni del dottor Antonio, regia di Fellini [56]) che già il regista aveva citato nel finale di Ecce bombo con il balletto finale. Con Palombella rossa c’è un estremo ritorno alle origini, un ritorno all’autarchico. Questo film infatti è il primo prodotto da Moretti stesso (dalla Sacher film che trae origine dalla sua famosa passione per i dolci) e nel film il regista inserisce tratti di La sconfitta, il suo primo cortometraggio in Super 8. In Sogni d’oro c’era una scena dove il professore lanciava a terra la Super 8 di un ragazzo (negazione dell’autarchia), in La messa è finita c’era un poster del giovane Moretti al posto di Buster Keaton; con Palombella rossa c’è una quadratura del cerchio: politica, infanzia e passioni giovanili (pallanuoto e regia). Un passo avanti anche rispetto a Sogni d’oro dove Moretti esclamava “Io sono il cinema”, ora Moretti produce e distribuisce il cinema (degli altri) attraverso la Sacher film. La scelta di inserire delle amnesie nel protagonista non è casuale: se con ‘Sogni d’oro’ c’era stata un’impennata voluta dell’ego di Apicella, con ‘Palombella rossa’ c’è uno sgonfiamento di quest’ultimo. Moretti ha voluto chiarire la situazione una volta per tutte: in Bianca, ma soprattutto in Sogni d’oro vi mostro la mia passione per i dolci? Ora in Palombella ho un rifiuto dei dolci, anzi apprezzo la pizza finale (e quindi il salato). In passato con i Super8 (riproposti nel film) mi ero esposto politicamente? Ora rimetto ancora in dubbio il tutto, grazie anche ai guru cattolici. Moretti non vuole che il pubblico amante dei suoi film/personaggi vada a vedere Palombella sapendo già cosa vedrà sullo schermo, Michele Apicella è il tutto e il contrario di tutto. Ha avuto un’amnesia e quindi non si ricorda il passato, e non vuole essere riconosciuto per com’era prima. In una scena anzi se ne vergogna (quando F. Traversa gli ricorda l’episodio a scuola quando avevano attaccato un cartello ad un ragazzo con su scritto “Sono un fascista, sputatemi addosso”). Oltre alla messa in discussione del personaggio Apicella in questo film potremmo chiederci dove sia la moglie del protagonista (visto che la figlia di Michele è costretta a stare con il padre) o dove sia ora la madre, visto che viene ripresa più volte durante i flashback di Michele. Ma questo a Moretti non interessa, il pubblico quando guarda il film deve porsi altre domande, non deve trovare la soluzione edipica che poteva ritrovare nel precedente ‘La messa è finita’. E lo stesso riguardo alla moglie, in tutti i suoi film passati non c’è mai stata una relazione solida di coppia, perché mai dovrebbe esserci in ‘Palombella rossa’? Per l’equilibrio famigliare c’è tempo, la risposta Moretti ce la darà con ‘La stanza del figlio’. Anche in questo Moretti ha cambiato la visione di un pubblico abituato alle commedie italiane degli anni ’60-’70 o delle commedie americane a lieto fine. Perché mai tutti i personaggi (anche quelli di contorno) devono essere sviluppati? Non è detto che questa soluzione porti alla buona uscita del film. Con ‘Palombella rossa’ noi dobbiamo porci altre domande, ad esempio: cosa farà ora Michele Apicella? E non “dov’è sua moglie?”. Michele è sofferente, è sofferente in quanto è solo (come lo è sempre stato nel suo percorso), l’unica cosa che gli rimane è la retorica, le sue parole, i suoi pensieri che lo accompagnano dall’inizio del suo percorso. Il suo è un eterno vagare, alla ricerca di una continua sicurezza che viene sempre messa in discussione (la scuola in ‘Bianca’, la politica in ‘Palombella rossa’, i media in ‘Aprile’). Il film poteva essere girato in una piscina di periferia romana, ma il regista scelse di ricreare tutta la situazione (piscina, spalti, ecc) in Sicilia, ad Acireale. Il motivo è la partita che si svolgerà in trasferta, e Moretti per l’appunto voleva il pubblico contro per demotivare il protagonista. Un ‘gruppo di pressione’ (che si ricollega alla sconfitta mediatica del giorno prima) per far esplodere Apicella. E questo si realizza in quanto nella corsa finale Moretti chiama in aiuto la madre, come un bambino che vuole evadere. De Bernardinis nel suo libro su Moretti paragona (oltre alla maniacalità nelle riprese) il regista trentino a Kubrick. In particolare paragona il quadrato della piscina come spazio chiuso al labirinto-Hotel di Shining. “Solo precipitando nella scarpata e rovesciandosi su se stesso, Michele può ‘vedere’ in faccia i miti dell’infanzia e della politica, dell’immaginario e del simbolico. In piscina invece, è solo attesa frustrata ed atto mancato, come all’Overlook Hotel è impossibile comporre romanzi e adempiere ai propri doveri [57]”. Oltre a Fellini e Kubrick, in una scena del film si può intravedere un omaggio a Buñuel. La scena è quando Michele prende per la prima volta la palla e dirige la sua prima azione. Il protagonista afferma ‘sono bloccato, non riesco ad andare avanti’, proprio come i protagonisti borghesi del film L’angelo sterminatore che rimanevano bloccati nel salotto di un’intellettuale [58]. Nel film sarà Letitia a trovare il modo per uscire, cioè rimettersi nella posizione in cui si trovavano gli ospiti all’inizio della serata. Palombella rossa potrebbe essere visto come un continuo di Sogni d’oro, dove si intrecciano le avventure del protagonista ai sogni o ricordi. Qui però il protagonista non riesce ad evadere nel mondo esterno, e l’unica soluzione per uscirne infatti è autoprocurarsi un incidente. In questo c’è un parallelo tra Buñuel e Moretti: in Moretti la morte come rinascita, ed in Buñuel la posizione originale (lo spazio) per trovare la posizione finale (ovvero la via d’uscita). Sia in ‘La messa è finita’ che in ‘Palombella rossa’ Moretti mette in atto una frammentazione del sé attraverso l’alter-ego Michele Apicella. Come afferma Moretti nel film “Per tornare lì (in quel periodo ovvero l’infanzia), devo passare di là (ovvero nei momenti che un bambino non ama fare, come ad esempio portare i borsoni della squadra)”. Il bambino Moretti non c’è più, è ‘morto’, quell’età ci è stata portata via per forza di cose. Morendo, alla fine del film, Moretti cristallizza il momento ed in questo modo riesce a fermare i suoi 36 anni; così riuscirà a prendersi gioco del tempo come non è riuscito a fare prima. L’infanzia di Moretti è stata ‘rubata’, il suo tempo, il suo viso, le sue merendine, tutta quella parte di mondo è scomparsa per sempre. Moretti ha fatto di tutto nella sua vita, ma il bambino che c’è dentro di lui è tornato per ‘chiedere il conto’, per chiedere spiegazioni alle volontà, ai desideri non esauditi. Il piccolo Moretti voleva diventare un giocatore di pallanuoto, perché ora è un regista? Moretti, come ha affermato in un’intervista, ha cercato più volte di inserire la pallanuoto nei suoi film. Questa era la coscienza, il bambino che chiedeva di tornare al tempo passato, di tralasciare per un attimo il suo vero lavoro, ovvero il regista. Moretti doveva fare Palombella rossa, per anni l’ha rinviato e finalmente l’ha realizzato. Prima non poteva farlo ma ora ha dovuto farlo. Qui torna la domanda che in molti ci chiedono durante la vita: “che cosa volevi fare da grande?” Moretti da grande più che giocare a pallanuoto voleva ‘lo spogliatoio’, voleva la condivisione post partita delle emozioni con i compagni. Voleva le pizzette, i dolci, le trasferte in pullman, il resto non contava. Come i cicli della vita che si chiudono (fine dell’università, fine di un contratto lavorativo) o che si aprono (matrimonio, nascita di un figlio), Moretti ha voluto chiudere in questo modo la sua parabola di Apicella: tornando all’origine, al Moretti bambino.
Caro diario
Caro diario, ovvero il primo film con Nanni e non più con Michele Apicella. Il film è diviso in 3 capitoli dove Moretti ci mostra le sue passioni, i suoi viaggi lavorativi e la sua malattia. Il primo capitolo si intitola In vespa e Moretti ci racconta Roma dal suo punto di vista, dall’amore per i quartieri deserti estivi alla visita finale alla tomba di Pier Paolo Pasolini ad Ostia. Nel secondo capitolo Isole Moretti si rifugia nelle isole Eolie per lavorare ad una sceneggiatura e va a trovare un suo vecchio amico. Insieme fanno il giro delle isole per cercare tranquillità ma la vita caotica delle isole glielo impedisce. Ad Alicudi finalmente trovano la serenità ma Gerardo, l’amico di Moretti, scappa perché deve seguire le sue soap-opera preferite. Infine Medici parla della malattia realmente accaduta a Nanni Moretti. Da un forte prurito iniziale agli arti Moretti per un anno gira quasi tutti i medici possibili di Roma in cerca di una soluzione. Alla fine scopre che in realtà il prurito è un tumore benigno, ovvero il linfoma di Hodkin [59] [60]. Da questa vicenda Moretti trae questa conclusione: “I medici sanno parlare ma non sanno ascoltare”. Nel finale beve un bicchiere d’acqua a stomaco vuoto appena sveglio perché “dicono che fa bene” per i reni. Caro diario segna una pausa tra Palombella rossa ed Aprile riguardo all’infanzia del protagonista ma il regista fa una riflessione lo stesso sul mondo dell’infanzia, questa volta però riguardo ai figli degli altri. Nel capitolo Isole infatti sono presenti figli unici viziati che sono loro i veri capofamiglia che decidono scelte importanti (rifiuto di avere altri fratelli). E i genitori esaltano i figli come se fossero i primi figli unici al mondo (e qui c’è un richiamo all’ex parroco diventato padre in La messa è finita). I bambini piccoli invece si impossessano del medium telefono e ‘bloccano’ di fatto l’isola. Anche in questo film Moretti torna sull’importanza del medium televisivo e sui media in generale (telefono che richiama Ecce bombo, ovvero “mezzo freddo che ci allontana invece di avvicinarci”). In particolare abbiamo l’esempio del suo amico Gerardo, studioso de L’Ulisse. Il suo amico, ritiratosi sull’isola per dedicarsi allo studio dell’opera classica e ‘tagliare’ i rapporti con il mondo, a causa di una televisione presente su un traghetto si scopre amante della tv seriale prima e del mezzo televisivo in generale. Già in Sogni d’oro Moretti ci mostrava una sua visione critica riguardo al successo della volgarità televisiva rispetto alla qualità. Anche qui i contenuti che ama Gerardo sono di livello non alto, come ad esempio soap-opere o Chi l’ha visto. E una normale escursione sull’isola di Vulcano diventa un’occasione per rimanere aggiornato. Moretti infatti incontra dei turisti americani e il suo amico vuole delle anticipazioni su Beautiful, dove l’americano è sempre più avanti dell’occidentale. Dopo averci raccontato le sue manie, nella prima parte di questo film c’è un ritorno alle origini (Autarchico ed Ecce bombo). In vespa in fatti è un film sull’amore, sulla devozione di Moretti per la settima arte. C’è una critica ai film omaggiati dai critici che in realtà si rivelano dei film di basso rango. C’è una critica alla generalizzazione del cinema italiano sulla sconfitta del ’68 e della sinistra italiana (film iniziale). Infine torna il bersaglio preferito di Moretti: Lina Wertmüller (“stavo pensando una cosa molto triste, cioè che io, anche in una società più decente di questa, mi ritroverò sempre con una minoranza di persone. Ma non nel senso di quei film dove c’è un uomo e una donna che si odiano, si sbranano su un’isola deserta perché il regista non crede nelle persone”). Un altro ‘aggancio’ al cinema delle origini c’è nella constatazione che nei cinema romani d’estate proiettano film come Sesso amore e pastorizia, come in Bombo il protagonista si trovava sul set de I metalmeccanici hanno pochi fucili. Gli ultimi due riferimenti cinematografici sono l’omaggio alla tomba di Pier Paolo Pasolini ad Ostia e l’ipotetica realizzazione di un film su un pasticciere trotzkista (tema ripreso in Aprile). Con questo film (a parte Renato Carpentieri) c’è un ritorno del focus su Nanni Moretti e non ‘anche’ su Nanni Moretti. Se la buonuscita di Sogni d’oro o Bianca era dovuta all’aiuto di attori comprimari, in ‘Caro diario’ il film poggia tutto sul regista e riesce nell’operazione. Moretti cambia ancora strada e non fallisce: all’inizio piccole scene (sketch), in seguito un canovaccio che si sviluppa e ora un film che segue Moretti. Con La stanza del figlio poi ci sarà ancora un altro cambiamento: un melodramma famigliare che chiude con Apicella (esperimento già provato con La messa è finita). Moretti come un bambino curioso oltre all’esterno di alcune case vuole vedere l’interno e allora mente ai proprietari dicendo che sta facendo le riprese di un musical su un pasticciere. La scelta del pasticciere trotzkista non è casuale: ha in se la passione infinita per i dolci (e quindi richiamo all’infanzia) e il passato politico ormai ‘passato’ appunto. Il connubio della professione con la politica poi mostra una sorta di ‘passo indietro’, dove i dolci richiamano la purezza e non la lotta politica. Un ulteriore collegamento si può fare con Sogni d’oro dove il suo regista avversario stava facendo proprio un musical sul Vietnam. Un musical che Michele non sopporta ma che in realtà vorrebbe fare ma non riesce mai a realizzare. Nel primo episodio poi c’è un ritorno alle origini. In Ecce bombo Michele affermava: “Sempre ossessionata dal conoscere gente, come quando incontri quelli sui treni che vogliono stare tra la gente, bisogna conoscere gente. Poi si scopre che la gente sono sempre i giovani, i giovani, evviva i giovani!”. E in questo film Nanni vaga appunto tra i luoghi e la gente, vista la desolazione estiva di Roma. E tenta l’approccio con degli sconosciuti anche in situazioni non convenzionali: ad esempio fermo al semaforo. Oppure in un circolo dove si balla il latino (circolo pieno, a differenza del circolo vuoto di Ecce bombo). Qui il protagonista si apre con degli sconosciuti sulla sua vera passione per il ballo. Passione che forse aveva tenuto segreta, come molte persone che si aprono appunto con sconosciuti forse per avere una risposta veramente oggettiva e imparziale. La struttura del film a episodi Caro diario per la prima volta nella filmografia di Moretti è casuale. Il regista infatti nel 1991 aveva ristrutturato il Nuovo Cinema, una sala romana del quartiere Trastevere. Nel nuovo cinema, rinominato Nuovo Sacher (sempre in onore della torta) Moretti assieme al suo socio Angelo Barbagallo proietta vari spezzoni che poi faranno parte del primo episodio In Vespa. Moretti dopo aver chiuso il capitolo Apicella con Palombella rossa, vide nei clip di In Vespa la leggerezza con la quale girava i suoi primi Super 8 (La sconfitta). Così decise di scrivere gli altri due capitoli (Isole e Medici) e di realizzarne un film. A parte la nascita del Nuovo Sacher tra Palombella rossa e Caro diario ci sono inoltre altri due progetti da ricordare di Moretti. Nel 1990 c’è la realizzazione del documentario La cosa che ha per argomento la mutazione del partito PCI a seguito del crollo del muro di Berlino del 1989. Nel 1991 poi Moretti per la prima volta recita da protagonista in un film altrui: ne ‘Il portaborse’ di Luchetti (dove è anche produttore) recita la parte del ministro corrotto Cesare Botero, in un’Italia pre Tangentopoli. Caro diario viene presentato alla 47ª edizione del Festival di Cannes e vince il premio per la miglior regia. È il 2° riconoscimento internazionale per Moretti dopo la vittoria a Berlino per La messa è finita del 1985. Questo film rappresenta un giro di boa per il regista in quanto Moretti si riappropria del suo corpo e abbandona i panni del drammaturgo Apicella. Sia in questo film che nel successivo Aprile Moretti ci mostra la sua vita, non recita (‘jouer’ dal francese). Non è più Moretti che si ‘sottomette’ al cinema (camera fissa prima e altri movimenti di macchina nei film seguenti) ma viceversa: camera-car e dolly che seguono Moretti in una sorta di ‘nuovo neorealismo’. Se prima c’era una storia che raccontava (anche) la vita di Moretti ora è il contrario. Oltre alla vita di Moretti, Caro diario (assieme ad Aprile) è un film sulla memoria storica del nostro paese. Un film necessario, più che stilisticamente bello. A differenza di Sogni d’oro o di Palombella in questo film non ci sono più flashback che ci spiegano il passato di Michele o le sue volontà nascoste. Il “mi ricordo, mi ricordo..” dello smemorato politico in Palombella rossa è sostituito dalle foto in movimento del Moretti ‘on the road’ nella sua Vespa. Non ci sono più frammenti di vita passata, ma vita in corso da lasciare ai posteri. I desideri ancora irrealizzati vengono subito realizzati e mostrati (visione quartiere Spinaceto oppure della tomba di Pasolini). Caro diario non è più finzione o rappresentazione della realtà di Michele, è realtà pura, senza troppi fronzoli. Non ci sono più simboli attraverso i quali spiegarci il mondo di Michele, ma siamo di fronte alla vita di Moretti, dove ogni tanto appaiono i suoi simboli famosi. E così l’inquadratura dei dolci presente nel bar nell’episodio Isole è breve e cinefila, così come Nanni che palleggia con un pallone in un campo da calcio. Non è più la palla che richiama l’infanzia ma è un oggetto per svagarsi, ludico appunto. Anche i simboli della realtà attraverso l’occhio di Moretti assumono molta più rilevanza di prima. La tomba di Pasolini che si confonde tra l’erba alta di Ostia ora assume un altro significato. Come il quartiere Spinaceto che diventa un luogo da visitare in quanto non è pop(olare). (Pasolini che morì nel 1975, un anno prima dell’esordio di Moretti, ‘Io sono un autarchico’). Con la morte di Pasolini ci fu inevitabilmente un azzeramento del cinema italiano, una sorta di ‘anno zero’. Il cinema italiano aveva smesso di ridere su se stesso e la commedia italiana ormai era al capolinea. Con l’esordio di Moretti invece la commedia italiana torna ad essere protagonista. Termine che lo stesso Moretti odia, come ricordiamo nello scontro con Monicelli, dove Monicelli aveva ragione. Roma, nella filmografia di Moretti non ci è mai apparsa una città ‘da cartolina’. Il regista ha sempre scelto di usarla come un ‘acquario di contorno’ sul quale filmare. E così in Ecce bombo Roma d’agosto diventa una città con poche attrattive, così come in Caro diario, dove i cinema trasmettono solo film di bassa qualità. Allo stesso tempo però è città infinita, dove trovare luoghi non comuni dove girare sia in Vespa che con la macchina da presa. E Roma anche caput mundi dove fermarsi per ballare a ritmo latino o dove trovare Jennifer Beals per caso in compagnia del marito. Nei primi due capitoli di Caro diario c’è il protagonista che vaga e non si ferma mai. È un film ‘on the road’ senza il classico canovaccio in stile Bianca o scenette dei Bombi. Nanni vaga per la città, e l’unica sosta è per Henry pioggia di sangue, film omaggiato da un critico verso il quale poi Moretti si vendicherà. In Isole poi Nanni vorrebbe scrivere la sceneggiatura di un film ma non riesce. Così anche qui vaga ma come per Gerardo il mezzo televisivo interferisce con la sua vita. Se per Gerardo però c’è una mutazione (negazione verso la tv, improvviso amore, tentativo di redenzione e poi ritorno verso la tv), per Nanni c’è una sorta di richiamo a Palombella rossa. Il pubblico che guardava la partita di pallanuoto si ferma per il finale del Dottor Živago, anche qui Moretti si ferma per guardare Anna di Lattuada. Sia in Anna che in Palombella c’è un gioco di flashback come ci ricorda De Bernardinis: “si noti che il passaggio da suora a ballerina nel film di Lattuada è un flashback, mentre qui risulta uno slittamento da un’immagine all’altra dello stesso personaggio mai identico a sé, quasi Moretti volesse chiudere i conti con la teoria del flashback contenuta in Palombella rossa [61]”. Caro diario è un eterno balletto, un eterno giro con poche soste. E quando l’uomo si ferma, il mondo intorno a lui rimette tutto in discussione, non facendolo mai fermare. E così Nanni si ferma su un isola per scrivere una sceneggiatura ma è sconvolto dal caos di Lipari. Allo stesso modo Gerardo si ferma ad Alicudi per continuare la sua ricerca sull’Ulisse ma è chiamato dalla sirena della tv (non di Joyce). Infine in Medici, dove Moretti vaga da un medico all’altro in cerca di una soluzione. Un eterno vagare umano.
Aprile
Il film si apre con la notizia della vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni del 1994 introdotta da Emilio Fede. A questo punto Moretti vorrebbe fare il famoso film sul pasticciere trotskista ma si sente obbligato a fare un documentario sulla situazione politica dell’Italia degli anni ’90. Nel frattempo a Moretti nasce il suo primo figlio e questo evento prende importanza sui suoi progetti. La scelta di non commentare e di riproporre l’inizio del Tg con Emilio Fede è stata una scelta giusta da parte di Moretti. È giusta in quanto non c’è bisogno di alcun commento, gli italiani all’epoca guardando in diretta le dichiarazioni di Berlusconi in parte appoggiavano il discorso del Premier in quanto erano stufi di un’Italia che stava uscendo da Tangentopoli. Riproporre lo stesso discorso quattro anni dopo (1998) in un film, dopo che la storia ha fatto il suo corso, assume un significato diverso. La contestualizzazione, appunto, cambia il modo di vedere (e di pensare) gli avvenimenti. Con questo film Moretti (come con la tomba di Pasolini) ha consegnato ai posteri un documento che altrimenti sarebbe andato perduto. Nell’era di internet forse il discorso iniziale sarebbe reperibile però all’interno di un film, rivisto 10, 20 anni dopo assume un altro significato. E lo stesso è per la tomba di Pasolini ad Ostia. Sono quasi 40 anni che sappiamo che la tomba è lì, in quel luogo; ma rivederla in un film, in quella situazione, fa un altro effetto. Come per il precedente Caro diario il regista affermò che fece le riprese della campagna elettorale del 1994 senza sapere l’utilizzo futuro che avrebbero avuto. La capacità di Moretti è sempre stata quella di non prendersi sul serio. Oltre al Moretti personaggio ha sempre ironizzato sia sul suo pensiero politico (già dal cortometraggio La sconfitta del 1973) sia verso la fazione opposta (Destra). Come infatti ricorda in un’intervista nel Grande Polo che vinse le elezioni del 1994 oltre a Forza Italia, Lega Nord e Alleanza Nazionale c’era stata anche un’alleanza da parte dei Radicali. Le altre critiche presenti nel film al suo partito sono la mancanza di un discorso da parte di un leader riguardo la sconfitta a poche ore dall’esito dei sondaggi e la non risposta di D’Alema durante un dibattito televisivo verso Berlusconi. Una critica finale il regista la muove per l’assenza da parte del partito nel luogo dove qualche giorno prima erano morti dei profughi albanesi in seguito al naufragio di una motovedetta nei pressi di Otranto, in Puglia. All’uscita del film il regista non fa nessuna conferenza stampa di presentazione. Il motivo è il contenuto del film in sé in quanto mostra già quello che Moretti vuole dire. Avendo infatti una struttura vicina alla realtà e lontana dalla finzione del racconto, il film non può avere una lettura soggettiva. Moretti parla della realtà, non di finzione o di rappresentazione della realtà. Dall’area di centro-sinistra arrivano giudizi positivi sulla riflessione che fa Moretti riguardo alla situazione italiana ma poco cambia. Come spesso accade l’artista illumina chi ancora non riesce a vedere la situazione reale e ‘sostituisce’ la classe politica ma rimane tutto immutato lo stesso. I film precedenti di Moretti avevano come costante la presenza di sogni, ricordi, flashback e speranze. In Aprile invece non c’è nulla di tutto ciò. Non c’è il monologo che don Giulio fa al capezzale della madre morta ricordandoci com’era la sua infanzia. C’è invece la vera madre di Moretti che ci racconta un frammento dell’infanzia di Moretti. Noi contemporaneamente a Moretti scopriamo la sua infanzia (en train de rubando dal francese). Nei film precedenti invece era quasi tutto scritto a tavolino. La morte della madre e poi il racconto dell’infanzia. Qui invece l’azione si svolge contemporaneamente al dialogo. Anche riguardo alla situazione politica Moretti ha un diverso atteggiamento. Se prima aveva speranze disilluse (ma comunque sempre speranze), ora ci narra la realtà finita, non più mutabile. E così c’è il dibattito al quale D’Alema non risponde e ormai non si può più cambiare l’esito, c’è la dichiarazione d’indipendenza della Lega Nord e contemporaneamente ci sono i motoscafi della Lega e i motoscafi dei profughi albanesi. Non siamo più in un sogno dove c’è più la speranza di una vittoria della sinistra. Siamo di fronte all’incubo (vittoria di Berlusconi più Lega) ma anche di fronte alla reale vittoria della sinistra, non più un sogno (d’oro). Nonostante è tutto già accaduto però Nanni non si arrende e va a Londra inscenando una protesta pacifica. Se Moretti avesse protestato in una città italiana avrebbe avuto un’eco mediatica diversa. Così sceglie di andare a Londra, meno autarchica ma ideale per la protesta. Nel suo percorso Moretti ha sempre cercato di inserire la sua visione politica. E così anche all’inizio, quando parlando con un giornalista francese si sente in dovere di girare un documentario sull’Italia e per gli italiani. Film dopo film è sempre stato un crescendo l’inserimento della ‘politica’ come argomento nel film. In Palombella rossa finalmente la pallanuoto è potuta entrare come argomento portante (il regista già voleva inserirla in film precedenti), così in Aprile la volontà di inserire la politica è forte. Moretti si avvicina all’obiettivo ma l’artista che è dentro di lui vuole tornare al progetto del musical. Ma soprattutto la nascita del figlio Pietro cambia tutti gli orizzonti. Ci riproverà ancora ne Il caimano, un film che forse Moretti non avrebbe voluto fare ma dentro di lui risuonavano le parole del giornalista francese di Aprile. Un’altra mancanza dei politici è l’assenza durante lo sbarco dei profughi albanesi ma la contemporanea presenza in televisione. La nascita di Pietro poi è un pretesto per eliminare (con calma) le manie di Michele Apicella. E così c’è la presa ‘ansiosa del padre’ e la gara tra nonne sui guardaroba preparati per il piccolo Pietro. A seguito del rifiuto da parte della suocera Nanni tira fuori le scarpe (mania di Michele) preparate dalla nonna per il nipote. Oltre alla presa ansiosa ricordiamo il momento pre-parto: è Moretti la vera donna incinta con le strane voglie, Silvia invece mantiene la razionalità e la sicurezza che dovrebbe avere il marito. Il padre Moretti si diverte con il figlio, sia ascoltando la radio o guardando la tv. Nanni infatti mostra subito al figlio le interviste politiche. Tra queste spicca quella di Berlusconi che da ‘cattivo padre’ afferma che all’asilo chiesero al figlio piccolo il lavoro del padre. Il piccolo disse: “papà aggiusta le televisioni”, e da bravo piazzista il premier affermò che ora è impegnato ad aggiustare l’Italia, non più le televisioni. Il ‘bravo padre’ Moretti invece mostra al piccolo già la realtà politica fin da piccolo. Caro diario e Aprile sono simili nella struttura del non-film ma sono diversi nel contenuto. In Caro diario (a parte l’ultimo episodio) Moretti gira per Roma in Vespa e poi decide di far diventare un film questo suo vagare. In Aprile invece tutto quello che accade è vero. Non c’è la finta minaccia al critico cinematografico per far ridere lo spettatore, ma ci sono le vere manie (che in parte conosciamo) del protagonista. Nella sua struttura del film Aprile è un film libero in quanto oltre ad essere prodotto dal regista (sempre dalla Sacher film) non ha avuto le varie vasi classiche di realizzazione di un film. Se un film classico si sviluppa in: scrittura, riprese e montaggio finale, in Aprile le tre fase sono continuamente mischiate tra loro. Questo porta sicuramente ad una lievitazione sia dei costi che dei tempi di produzione ma è più libero il lavoro dell’autore. Sia in Caro diario che in Aprile per la prima volta è presente la voce fuori campo di Moretti che ci spiega l’azione che sta compiendo il protagonista. Sia la voce-off che la colonna sonora sono due componenti tipiche del cinema che riescono sia a collegare le scene tra loro che ad alleggerire la narrazione. Aprile è l’ultimo film egocentrico di Moretti, da La stanza del figlio in poi ci sarà un diverso apporto del protagonista al film. Questo è dovuto all’evento ‘nascita di Pietro’, dove Moretti (come qualsiasi padre) deve mettere da parte il proprio ‘io’ in favore dell’‘altro’. Questa ‘abdicazione’ di Apicella-Moretti è presente in alcuni dialoghi del film. Dal tentativo di rinviare il parto in quanto Nanni non è pronto, al coraggio che Moretti deve dare alla moglie nella fase del parto (“E a me chi darà coraggio?”). Pietro nasce e Moretti non si vuole ancora arrendere (“Ma perché deve diventare adulto? Non c’è motivo!”) e qui il regista sogghigna e cerca di non far scappare via il tempo e Michele Apicella. Un ulteriore conferma viene data dall’amico alla fine quando attraverso un metro viene misurata la durata di una vita. Moretti guarda perplesso gli ultimi anni che gli restano da vivere e allora decide di uscire con la sua amata Vespa e buttarsi alle spalle gli stralci delle copertine de L’espresso e degli altri giornali che per anni ha raccolto. Oltre ad essere storico e necessario, Aprile è soprattutto un film emozionante. Il film riesce in questo intento grazie alla colonna sonora scritta da Ludovico Einaudi. In particolare il tema Le onde presente subito dopo la nascita del figlio Pietro (scena quando Moretti passeggia sul lungotevere). Sinfonia ripresa anche in una scena di Moretti al parco prima di chiedere delucidazioni sulla sua infanzia alla madre Agata. Spesso quando il film è di bassa qualità o non è sviluppato bene il tema il regista ricorre alla colonna sonora come eterno sottofondo per smussare alcune lacune. In Aprile specialmente e nella filmografia di Moretti in generale questo non avviene. Questo perché il regista sceglie il momento giusto per ‘rompere’ la tensione o cambiare tono nel racconto. E così la passeggiata di Moretti fa immedesimare lo spettatore che nella sua vita ha avuto la fortuna di diventare padre o chi non lo è ancora e quindi si immagina quel momento. Oppure nella scena dove parla con la madre nel parco. Qui la madre racconta quando doveva andare a scuola e lasciava il piccolo Nanni da solo in casa. Una confessione che spinge lo spettatore medio a chiamare il ‘telefono azzurro’ ma che era una normalità in quell’epoca. Un gesto che tenta pure Moretti con la moglie quando lascia volutamente piangere il bambino perché “l’ha detto il pediatra”. E qui vediamo una differenza tra la generazione pre Freud e post Freud. La generazione pre Freud (mamma di Moretti) si fidava a lasciare il figlio piangere invece Moretti appena sente un lamento subito corre a salvare il figlio creando la ‘generazione mammoni’. Nanni Moretti è sempre stato un amante del cinema e anche in questa occasione quando si trova di fronte a ‘filmacci’ non esita a stroncarli. E come nell’Autarchico o in Caro diario anche qui ha qualche bersaglio verso il quale scontrarsi. I film in questione sono Strange days [62] di K. Bigelow e Heat - La sfida con De Niro e Al Pacino [63]. E verso quest’ultimo film si scontra anche con l’universo femminile (la moglie) che si limita ad un apprezzamento fisico su Al Pacino invece di parlare della trama. Tra Caro diario e Aprile passano cinque anni ed in questi anni Moretti si è dedicato ad altri progetti oltre alla realizzazione di Aprile. Un preludio di ciò che sarà presente in ‘Aprile’ infatti lo troviamo in L’unico paese al mondo, un film che racchiude nove cortometraggi che mostrano come peggiorerebbe la situazione dell’Italia in caso della vittoria del centro-destra [64]. L’anno dopo (1995) produce ed interpreta La seconda volta dove è una vittima di un attentato terroristico e conosce il suo carnefice [65]. Nel 1996 gira il cortometraggio Il giorno della prima di Close up dove mostra le sue ansie sul mancato incasso del film Close up [66] proiettato nel suo cinema Nuovo Sacher. Nel 1996 restituisce il favore a Raúl Ruiz facendo un cameo nel suo film Tre vite e una sola morte [67] e l’anno dopo fonda la ‘Sacher distribuzione’, a qualche anno di distanza dalla ‘Sacher produzione’. Anche questa volta il film partecipa al Festival di Cannes ma la giuria gli preferisce La vita è bella di Benigni [68]. Poco male visto che con il prossimo film (La stanza del figlio) il regista riuscirà a portare a casa la Palma d’oro.
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